martedì 1 agosto 2017

Andrea con Smilza e Gaia in Alta Valle Brembana: lago del Diavolo, lago Fregabolgia



Ad essere onesti, non c’erano le condizioni per anticipare la gita della domenica al sabato. Troppo dislivello accumulato nelle gambe ed il tempo per recuperare che manca sempre. Ad essere onesti, me ne sono sempre fregato delle pre-condizioni e partito per le mie destinazioni. E così ho fatto anche questa volta.
La sveglia al gallo l’ho data io. Si carica tutto in auto e si parte con Radio Onda d’Urto che tuona docilmente, ma che sfortunatamente dura fino allo svincolo di Rovato. Poi una deprimente Radio Italia solo musica italiana – Cara Radio Italia solo musica italiana, volevo dirti che di musica italiana di ottima fattura ce n’è. Quella che proponi tu è una raccolta a cui donerebbe bene il seguente nome: “The greatest italian shit”, in inglese, toh! – che dopo qualche canzone mi tocca spengere. Così, abbasso i finestrini e mi godo il canto mattiniero degli uccellini, lo smog dentro le gallerie, il verde rigoglioso e l’invitante frescura di una valle chiusa al sole per gran parte della mattinata e che è appena scampata alla notte.

Si va verso la Valle del Brembo. Si va in zone nuove. Si vola verso l’ignoto, con spirito da esploratore e gambe da impiegato bancario.  Si esce dalla zona di comfort, si plana verso l’inedito. E decido di farlo senza tecnologia: al bando il GPS! Si arrampica con destinazione Lago del Diavolo, intermezzando per il lago Cavasabbia e deviando pure per il Fregabolgia. Tre nomi, un programma!
La mia gita inizia poco dopo San Pellegrino Terme, non appena termina il grosso del traffico e dove scorgo un cartello indicante “P” ed un altro cartello “Ciclovia Val Brembana”. Vedete? A che serve mettere navigatori e lasciarsi guidare da voci inesistenti, sintetizzate e programmate? Caronte, traghettatore dell’Ade. Fino a Piazza Brembana è una ciclabile di recente "ristrutturazione" che costeggia la statale ma, ahimé, qualche galleria bisogna pur farla. E non vedendo indicazioni circa la lunghezza di tali trafori, mi viene naturale utilizzare lo stesso metodo che utilizzano i radar: onde elettromagnetiche a mo’ di onde radio gutturali che esplodono dallo stomaco, passando per l’esofago. Così traccio curve, dislivelli, distanze da oggetti e persone e persino la velocità di altri corpi. Un portento, l’eruttazione.
In un battito di ciglia, mi ritrovo in prossimità di Fondra, frazione di Isola di Fondra. No, di Isola di Fondra. No, di Trabuchello, frazione di Isola di Fondra. No, di Isola di Fondra in quanto frazione di Fondra. Cartelli stradali che ne indicano continue entrate ed uscite mi confondono al punto da farmi sentire inghiottito da un loop spaziale. Penso a Memento, o ad Irreversible, grandi pellicole, in cui si vive una scena per poi risvegliarsi in una scena antecedente. Mi viene in mente “The Truman show” riadattato per il giovine Andrea, dove un manipolo di autori inesperti e scapestrati cerca di inscenare la mia esistenza con spunti surreali e lasciando falle. Io ne ho trovate alcune di quelle falle tra cui, appunto, il loop spaziale della zona di Fondra ed Isola di Fondra. Un appello ai Signori sindaci della zona: fate pace con l’urbanistica.

Coadiuvato da una temperatura – 12°C alle 07:30, in valle – che permette di mantenere attive le funzioni cerebrali, riesco ad uscire dalla trappola spaziale di Fondra ed inciampo nella località Branzi, dove ho la fortuna di azzeccare la panetteria giusta. Baratto una manciata di monete di piccolo taglio per mezza pagnotta con pepite di cioccolato ed un trancio di pizza margherita con aggiunta di FTB, il Formaggio Tipico di Branzi. Una delizia, una prelibatezza, una ghiottoneria.  
Passo la Cascata di Branzi, la cui bellezza viene penalizzata dalla penombra del primo mattino, le cave e le pareti della caratteristica roccia Ardesia, ed infine giungo a Carona. Ivi trovo più persone del previsto, a causa del passaggio del terzetto di testa dell’Orobie Ultra Trail. Mi fermo e mi rifocillo con la mezza pagnotta. Ricarico – importantissimo – le borracce, e parto per la carrareccia. A tratti sconnessa, a tratti cementata a causa della impervia inclinazione, a tratti sconnessa e pure irta. Qui è tutto all’ombra, ancora. E le fiumane di sudore, impetuose, irrorano fronte, dorso, avambracci, gambe e manubrio. “Servirebbe un tergi-fronte!”, continuo a pensare tra me e me. E siccome il sudore mi si riversa copioso negli occhi, mentre pedalo, cerco di tamponare con la spalla della maglietta che, però, scopro essere ancora più madida di fronte e tempie. (foto cascate, due foto della carrareccia)

Cascate di Branzi, annebbiate da foschia e penombra

Prima parte, asfaltata artisticamente, della carrareccia

La carrareccia che si inerpica per la costa della vallata


Cascate senza nome, che chiamerò "Cascate nerine a scaglie"

La fatica è ripagata a dovere, e verso i 1700mslm esco dal bosco. Mi libero dell’ombra perenne ed il panorama che mi si schiude innanzi contrae il fiato in brevi palpiti, ed un ampio sorriso. Davanti a me il Lago Cavasabbia, con vasti prati dove è possibile campeggiare. Sulla mia sinistra il sentiero verso il Rifugio Longo si arrampica per la costa, sulla mia destra un’asfaltata a dir poco refrattaria dal voler essere controllata che conduce in poco tempo e tanto sforzo al Rifugio Calvi, dove si trova il Lago Fregabolgia. Opto per il corto e faticoso, prima. Durante la salita, nuvole grigie iniziano ad avvolgermi e quando arrivo al Calvi è quasi come essere tra le campagne mantovane a Febbraio: visibilità a circa 20 metri. Bicchiere mezzo pieno: la vedo come un’occasione per tornarci prima o poi. Per non dare tempo al subdolo sudore di asciugarsi, ridiscendo subito al bivio ed imbocco la non meno ripida salita che mi porterà in circa mezz’oretta al Longo ed in 40 minuti al lago del Diavolo. Al bivio torna il sole, ma non mi illudo: da Ovest-Nordovest il cielo si fa plumbeo, con sprazzi di blu che mi fanno pensare ad un’imminente temporale, sebbene previsto dopo pranzo.

L'uscita dal bosco. Ivì il bivio. In cima la perturbazione in arrivo

Smilza in Valle


Le gambe, probabilmente rimaste sulla salita precedente, non rispondono più. Nemmeno la gustosissima pizza al formaggio tipico di Branzi risolleva le loro sorti. Sono in sciopero ed hanno ragione: pretendo da loro le epiche gesta – aprirei un dibattito sulla mia concezione di “epiche gesta” – dei due anni passati ma senza averle degnate di attenzioni, cure ed allenamento. Ben mi sta’, mi auto-accuso!
Vedo, in lontananza, il rifugio. Sono prossimo al traguardo, e questo pensiero imprime un ritmo lento-violento all’ultimo pezzo della scalata. Giungo al Longo, non lo degno di uno sguardo e proseguo imperterrito verso l’obiettivo ultimo. Al lago del diavolo mancano poco più di 100m di dislivello. Il sentiero è largo ma ripido e con grossi massi smossi. Servono pedalate concrete e decise, ed in due occasioni perdo il passo. Mi rimetto in sella, passo dei ruderi, ed appare la diga. In seguito ad un ultimo strappo, il lago fa la sua comparsa.


Là sotto il bosco, il bivio.

Sentierello, possibilità di campeggio e lago Cavasabbia.

Dopo un paio di fotografie di rito in riva al lago, utilizzo la mia piccola creatura come stendi-panni. Un gruppo di simpaticissimi screanzati bergamaschi, che considero fratelli, mi consigliano di non bere l’acqua del torrente in cui loro sono immersi con le loro quasi complete nudità e che affluisce nel lago proprio accanto a me. Perché? Perché loro ci hanno rilasciato acqua di scarto, urea, cloruro di sodio ed azoto. Insomma, hanno orinato. Privatomi dei pantaloncini ma mantenendo la decenza, mi sono immerso anche io ma più in su, in modo da evitare eventuali correnti calde! L’acqua gelida rinvigorisce le gambe che ora sono pronte ad affrontare le sollecitazioni della discesa.
Dopo essermi rivestito e cambiato, ho scambiato qualche parola con un simpatico napoletano che come me ha girato il mondo per lavoro e che ora vive fisso in provincia di Bergamo. Parliamo di quanto sia bella la zona del Vivione e del Venerocolo – lui ha una casa lì – e poi affrontiamo assieme il primo tratto di discesa fino al Longo. Lui si è fermato a mangiare, mentre io mi sono avventurato per un sentiero che mira dritto a valle invece che ripercorrere il largo sentiero fatto in salita. “Non propriamente un sentiero destinato ad una bicicletta senza ammortizzatori” ho scoperto dopo pochi metri di tornantini stretti con massi a creare salti da circa 30-40 cm. Smilza – la mia Ogre –  non accusa il colpo, ed imperturbabile procede per la sua via. In pochi minuti, mi ritrovo sulla sponda destra del torrente che scorre a valle e che finisce nel laghetto Cavasabbia. Il sentiero prosegue al di là del torrente che quindi debbo guadare – ed immergermi in acque correnti e pozze è sempre una goduria –  e che dopo qualche centinaio di metri mi ricongiunge alla carrareccia calpestata nel salire. Questa, a causa dell’orda di turisti del sabato pomeriggio e di qualche jeep, va effettuata a velocità ridotta. Sicuramente la prossima volta studierò un passaggio alternativo tra i bellissimi boschi marron-verde. I polmoni dell’alta Valle Brembana.

Sentier verso il Longo ed il Lago del Diavolo. Sassi smossi: ssassssi smossssi
Visione o realtà? Il Longo eccolo là

Ruderi. Her ghost in the fog

Smilza, il mio stendino preferito

Io e Smilza sfidiamo il lago ed il Pizzo del Diavolo, che per la paura si nasconde dietro una coltre di nubi.
La discesa malauguratamente e fortunatamente scelta


Il mistero delle frazioni di Fondra, e Isola di Fondra, rimane tale anche in discesa e addirittura s’infittisce. E dopo questo bel giro tra felicità, sofferenza, soddisfazioni, imprevisti e sorprese sono contento. Definirla una gita al lago del Diavolo sarebbe riduttivo. Pedalare tra le meraviglie dell’alta Valle Brembana è stata una grande emozione che ricorderò e che probabilmente ripeterò a breve.
A presto, dunque, sorella Valle Brembana.

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