Ad essere onesti, non c’erano le condizioni per anticipare
la gita della domenica al sabato. Troppo dislivello accumulato nelle gambe ed
il tempo per recuperare che manca sempre. Ad essere onesti, me ne sono sempre
fregato delle pre-condizioni e partito per le mie destinazioni. E così ho fatto
anche questa volta.
La sveglia al gallo l’ho data io. Si carica tutto in auto e
si parte con Radio Onda d’Urto che tuona docilmente, ma che sfortunatamente dura fino allo
svincolo di Rovato. Poi una deprimente Radio Italia solo musica italiana – Cara
Radio Italia solo musica italiana, volevo dirti che di musica italiana di
ottima fattura ce n’è. Quella che proponi tu è una raccolta a cui donerebbe
bene il seguente nome: “The greatest italian shit”, in inglese, toh! – che dopo
qualche canzone mi tocca spengere. Così, abbasso i finestrini e mi godo il
canto mattiniero degli uccellini, lo smog dentro le gallerie, il verde
rigoglioso e l’invitante frescura di una valle chiusa al sole per gran parte
della mattinata e che è appena scampata alla notte.
Si va verso la Valle del Brembo. Si va in zone nuove. Si vola
verso l’ignoto, con spirito da esploratore e gambe da impiegato bancario. Si esce dalla zona di comfort, si plana verso
l’inedito. E decido di farlo senza tecnologia: al bando il GPS! Si arrampica
con destinazione Lago del Diavolo, intermezzando per il lago Cavasabbia e
deviando pure per il Fregabolgia. Tre nomi, un programma!
La mia gita inizia poco dopo San Pellegrino Terme, non
appena termina il grosso del traffico e dove scorgo un cartello indicante “P”
ed un altro cartello “Ciclovia Val Brembana”. Vedete? A che serve mettere navigatori
e lasciarsi guidare da voci inesistenti, sintetizzate e programmate? Caronte,
traghettatore dell’Ade. Fino a Piazza Brembana è una ciclabile di recente "ristrutturazione" che costeggia la statale ma, ahimé, qualche galleria bisogna pur
farla. E non vedendo indicazioni circa la lunghezza di tali trafori, mi viene
naturale utilizzare lo stesso metodo che utilizzano i radar: onde
elettromagnetiche a mo’ di onde radio gutturali che esplodono dallo stomaco,
passando per l’esofago. Così traccio curve, dislivelli, distanze da oggetti e
persone e persino la velocità di altri corpi. Un portento, l’eruttazione.
In un battito di ciglia, mi ritrovo in prossimità di Fondra,
frazione di Isola di Fondra. No, di Isola di Fondra. No, di Trabuchello,
frazione di Isola di Fondra. No, di Isola di Fondra in quanto frazione di
Fondra. Cartelli stradali che ne indicano continue entrate ed uscite mi
confondono al punto da farmi sentire inghiottito da un loop spaziale. Penso a
Memento, o ad Irreversible, grandi pellicole, in cui si vive una scena per poi
risvegliarsi in una scena antecedente. Mi viene in mente “The Truman show”
riadattato per il giovine Andrea, dove un manipolo di autori inesperti e
scapestrati cerca di inscenare la mia esistenza con spunti surreali e lasciando
falle. Io ne ho trovate alcune di quelle falle tra cui, appunto, il loop
spaziale della zona di Fondra ed Isola di Fondra. Un appello ai Signori sindaci
della zona: fate pace con l’urbanistica.
Coadiuvato da una temperatura – 12°C alle 07:30, in valle –
che permette di mantenere attive le funzioni cerebrali, riesco ad uscire dalla
trappola spaziale di Fondra ed inciampo nella località Branzi, dove ho la
fortuna di azzeccare la panetteria giusta. Baratto una manciata di monete di
piccolo taglio per mezza pagnotta con pepite di cioccolato ed un trancio di
pizza margherita con aggiunta di FTB, il Formaggio Tipico di Branzi. Una
delizia, una prelibatezza, una ghiottoneria.
Passo la Cascata di Branzi, la cui bellezza viene
penalizzata dalla penombra del primo mattino, le cave e le pareti della
caratteristica roccia Ardesia, ed infine giungo a Carona. Ivi trovo più persone
del previsto, a causa del passaggio del terzetto di testa dell’Orobie Ultra
Trail. Mi fermo e mi rifocillo con la mezza pagnotta. Ricarico –
importantissimo – le borracce, e parto per la carrareccia. A tratti sconnessa,
a tratti cementata a causa della impervia inclinazione, a tratti sconnessa e
pure irta. Qui è tutto all’ombra, ancora. E le fiumane di sudore, impetuose,
irrorano fronte, dorso, avambracci, gambe e manubrio. “Servirebbe un
tergi-fronte!”, continuo a pensare tra me e me. E siccome il sudore mi si
riversa copioso negli occhi, mentre pedalo, cerco di tamponare con la spalla
della maglietta che, però, scopro essere ancora più madida di fronte e tempie. (foto
cascate, due foto della carrareccia)
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Cascate di Branzi, annebbiate da foschia e penombra |
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Prima parte, asfaltata artisticamente, della carrareccia |
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La carrareccia che si inerpica per la costa della vallata |
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Cascate senza nome, che chiamerò "Cascate nerine a scaglie" |
La fatica è ripagata a dovere, e verso i 1700mslm esco dal
bosco. Mi libero dell’ombra perenne ed il panorama che mi si schiude innanzi
contrae il fiato in brevi palpiti, ed un ampio sorriso. Davanti a me il Lago
Cavasabbia, con vasti prati dove è possibile campeggiare. Sulla mia sinistra il
sentiero verso il Rifugio Longo si arrampica per la costa, sulla mia destra un’asfaltata
a dir poco refrattaria dal voler essere controllata che conduce in poco tempo e
tanto sforzo al Rifugio Calvi, dove si trova il Lago Fregabolgia. Opto per il
corto e faticoso, prima. Durante la salita, nuvole grigie iniziano ad avvolgermi
e quando arrivo al Calvi è quasi come essere tra le campagne mantovane a
Febbraio: visibilità a circa 20 metri. Bicchiere mezzo pieno: la vedo come un’occasione
per tornarci prima o poi. Per non dare tempo al subdolo sudore di asciugarsi, ridiscendo
subito al bivio ed imbocco la non meno ripida salita che mi porterà in circa
mezz’oretta al Longo ed in 40 minuti al lago del Diavolo. Al bivio torna il
sole, ma non mi illudo: da Ovest-Nordovest il cielo si fa plumbeo, con sprazzi
di blu che mi fanno pensare ad un’imminente temporale, sebbene previsto dopo
pranzo.
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L'uscita dal bosco. Ivì il bivio. In cima la perturbazione in arrivo |
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Smilza in Valle |
Le gambe, probabilmente rimaste sulla salita precedente, non
rispondono più. Nemmeno la gustosissima pizza al formaggio tipico di Branzi
risolleva le loro sorti. Sono in sciopero ed hanno ragione: pretendo da loro le
epiche gesta – aprirei un dibattito sulla mia concezione di “epiche gesta” – dei
due anni passati ma senza averle degnate di attenzioni, cure ed allenamento.
Ben mi sta’, mi auto-accuso!
Vedo, in lontananza, il rifugio. Sono prossimo al traguardo,
e questo pensiero imprime un ritmo lento-violento all’ultimo pezzo della
scalata. Giungo al Longo, non lo degno di uno sguardo e proseguo imperterrito
verso l’obiettivo ultimo. Al lago del diavolo mancano poco più di 100m di
dislivello. Il sentiero è largo ma ripido e con grossi massi smossi. Servono pedalate
concrete e decise, ed in due occasioni perdo il passo. Mi rimetto in sella,
passo dei ruderi, ed appare la diga. In seguito ad un ultimo strappo, il lago fa la sua comparsa.
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Là sotto il bosco, il bivio. |
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Sentierello, possibilità di campeggio e lago Cavasabbia. |
Dopo un paio di fotografie di rito in riva al lago, utilizzo
la mia piccola creatura come stendi-panni. Un gruppo di simpaticissimi screanzati
bergamaschi, che considero fratelli, mi consigliano di non bere l’acqua del
torrente in cui loro sono immersi con le loro quasi complete nudità e che
affluisce nel lago proprio accanto a me. Perché? Perché loro ci hanno rilasciato
acqua di scarto, urea, cloruro di sodio ed azoto. Insomma, hanno orinato.
Privatomi dei pantaloncini ma mantenendo la decenza, mi sono immerso anche io
ma più in su, in modo da evitare eventuali correnti calde! L’acqua gelida
rinvigorisce le gambe che ora sono pronte ad affrontare le sollecitazioni della discesa.
Dopo essermi rivestito e cambiato, ho scambiato qualche
parola con un simpatico napoletano che come me ha girato il mondo per lavoro e
che ora vive fisso in provincia di Bergamo. Parliamo di quanto sia bella la
zona del Vivione e del Venerocolo – lui ha una casa lì – e poi affrontiamo
assieme il primo tratto di discesa fino al Longo. Lui si è fermato a mangiare,
mentre io mi sono avventurato per un sentiero che mira dritto a valle invece
che ripercorrere il largo sentiero fatto in salita. “Non propriamente un
sentiero destinato ad una bicicletta senza ammortizzatori” ho scoperto dopo pochi
metri di tornantini stretti con massi a creare salti da circa 30-40 cm. Smilza –
la mia Ogre –
non accusa il colpo, ed
imperturbabile procede per la sua via. In pochi minuti, mi ritrovo sulla sponda
destra del torrente che scorre a valle e che finisce nel laghetto Cavasabbia.
Il sentiero prosegue al di là del torrente che quindi debbo guadare – ed immergermi
in acque correnti e pozze è sempre una goduria –
e che dopo qualche centinaio di metri mi
ricongiunge alla carrareccia calpestata nel salire. Questa, a causa dell’orda di
turisti del sabato pomeriggio e di qualche jeep, va effettuata a velocità
ridotta. Sicuramente la prossima volta studierò un passaggio alternativo tra i
bellissimi boschi marron-verde. I polmoni dell’alta Valle Brembana.
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Sentier verso il Longo ed il Lago del Diavolo. Sassi smossi: ssassssi smossssi |
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Visione o realtà? Il Longo eccolo là |
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Ruderi. Her ghost in the fog |
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Smilza, il mio stendino preferito |
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Io e Smilza sfidiamo il lago ed il Pizzo del Diavolo, che per la paura si nasconde dietro una coltre di nubi. |
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La discesa malauguratamente e fortunatamente scelta |
Il mistero delle frazioni di Fondra, e Isola di Fondra,
rimane tale anche in discesa e addirittura s’infittisce. E dopo questo bel giro
tra felicità, sofferenza, soddisfazioni, imprevisti e sorprese sono contento.
Definirla una gita al lago del Diavolo sarebbe riduttivo. Pedalare tra le
meraviglie dell’alta Valle Brembana è stata una grande emozione che ricorderò e
che probabilmente ripeterò a breve.
A presto, dunque, sorella Valle Brembana.
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