martedì 25 luglio 2017

Gran Sasso d'Italia: alpinisti che si improvvisano appenninisti



Per anni, passeggiando per l’autostrada Bologna-Taranto con destinazione famiglia, la mia attenzione veniva attirata da una ripa color bianco candido in inverno e grigio splendente d’estate. La scorgevo, deviando leggermente lo sguardo sulla destra, nell’entroterra, timida ma forte. Attraente e carismatica, ho riposto in lei il mio completo ed umile rispetto. Non pensavo potesse essere affar mio. Ma nel 2017 qualcosa è cambiato.
Eccolo, è lui, il Gran Sasso d’Italia! Una prominenza, la più alta degli Appennini tutti, che proietta la sua ombra dall’Adriatico al Tirreno, passando per il retroterra. E trovandosi a metà tra il Brennero e Melito di Porto Salvo, è il baricentro dello stivale. L’ombelico d’Italia, mi piace chiamarlo.
Il Gran Sasso d’Italia è nato da sedimenti marini che dal Triassico al Miocene hanno formato l’antica piattaforma calcarea laziale-abruzzese, costituita da una potente serie di dolomie e calcari doloMitici. Quasi nulla da invidiare alle Dolomiti di Brenta in quanto a paesaggi e qualità della roccia. Forse si, il clima è un punto a favore delle Dolomie nordiche. Non si possono superare, e non di misura, i 20°C a 3000m di quota, suvvia! E’ forse l’effetto del nostro efferato modo di vivere ormai totalmente votato al consumismo?

La partenza, anche quest’oggi, precede la comparsa di Ra sul palcoscenico del giorno. Ra nella mia zona, in qualità di nana gialla, sfarzo di idrogeno ed elio, stella madre del Sistema Solare, comincia a scalare lo Zenit partendo da quella sottile linea di demarcazione tra mare e cielo, acqua ed aria.
Un poco per l’orario, un poco perché le valli abbruzzesi sono invero posti quieti ed isolati, arriviamo all’attacco della salita per Prati di Tivo che non abbiamo ancora incontrato anima viva. Allo svincolo, una casa cantoniera con il caratteristico fascino retrò del “mai ristrutturato” dall’epoca del Mussolini ci indica che stiamo andando in direzione del Gran Sasso d’Italia 2912m.

Effervescenza retrò, attacco della salita per Prati di Tivo

 
Non appena mettiamo il naso fuori dal bosco, ecco che vediamo il massiccio bianco che si erge di fronte a noi. Penso tra me e me medesimo: “Me lo aspettavo ben più alto et irto en pè”. Appena parcheggiata la bara metallica che ci ha condotti indenni a Prati di Tivo, consulto la cartina e accolgo con sommo gaudio che trattasi del Corno Piccolo. La destinazione è invece il Corno Grande con un’elevazione che conta 2864,644564761 decimetri in più rispetto al fratello minore.

Illusione: Corno Piccolo visto da l'inizio della hamminata


Nonostante un gioiello di seggiovia nuova, i magna magna locali han portato alla momentanea chiusura degli impianti. Io ed Alba siamo dei veri esploratori. E come tali, non trovando la traccia del sentiero, la improvvisiamo. Questo ci porta nel bel mezzo della pista nera che da Prati di Tivo (1450mslm), grazie ad una rampa verticale di fasci erbosi e fiori dai graziosi pigmenti, porta alla Madonnina (2007mslm). Si consiglia vivamente di consultare il sito e controllare se gli impianti sono aperti, se anche voi non volete versare lacrime amare lungo il percorso.
Il maestro, con ginocchio titubante e solo mezzo polmone dedicato all’attività respiratoria, accusa la salita iniziale. Con fascia al ginocchio ed il suo Opinel stretto tra i denti per annegare il dolore in un mare di sudore, molla solo qualche metro ma mai la volontà di arrivare in cima. Un vero e proprio muro del pianto, quel tratto di salita.

La seconda parte del Muro del Pianto

Fiore "Fior di banana"

Alba procede lemme lemme, Opinel tra i denti


Alla Madonnina già ci si schiude innanzi un panorama mozzafiato, sebbene con residui di foschia mattutina. Ci si rifocilla velocemente e si parte in direzione Rifugio Franchetti. Questo tratto è puro godimento. Prima un sentiero un poco esposto che tiene fedelmente il costone sinistro del massiccio e poi il passaggio in una vallata, tra Corno Piccolo sulla destra e Corno Grande sulla sinistra, di detriti ciclopici. Penso che con la bicicletta, qui, sarebbe geniale. Penso che con la bicicletta, qui, mi farei del male. Senza nemmeno accorgemene, sono al Rifugio Franchetti (2433mslm) dove Zen, il pastore abruzzese che veglia sul rifugio, mi da’ il benvenuto con qualche amichevole annusata e sbausciata.


Vetta orientale a occidente e vetta Occidentale ad oriente. Sella dei Due Corni nel mezzo

 
Le ultime cime dei Monti della Laga, ed il mare dorato e la foschia

Piccioli massi facenti parte di sfasciumi di sfasciumi

 
Sentiero largo, fiato corto. Sfondo Acque dei Pelasgi (Adriatico)


Sono le ore 08:40 e mi accingo a pranzare con dell’ottima pizza marchigiana, pane e crescenza, mentre la mistura di uva passa, mandorle ed arachidi è già tutta nel mio stomaco da mo’. E dopo due chiacchere col giovane rifugista romano, scappato dalla frenesia della città, e dopo esserci imbragati, inizia l’avventura per la rocciosa parete del Corno Grande



Eccolo, il Rifugio Franchetti con sfondo Corno Piccolo. Il romano da qui non si vede, e Zen nemmeno.


La prima parte della Via Ricci non risulta mai difficile, ma leggermente ripida. Quasi in apnea e come se fossimo agitati da una fretta razionalmente inspiegabile e competitiva, raggiungiamo un forcellino dal quale si comincia ad intravedere il Paretone, Lu Paretò. Un baratro di circa 1300 metri che si getta a strapiombo sulla spianata di Campo Imperatore. Un passo incerto, un accenno di vertigini ed in pochi secondi si raggiungono i 9,81 m/s. Da alpinismo si trasforma in base jumping senza paracadute. Alcuni balconcini danno la possibilità di dare uno sguardo nel vuoto cosmico. I raggi visivi si trasformano in proiezioni di poliedri amorosi, il cuore palpita e la vista si annerisce.
Manca ormai poco alla vetta. Una cresta esposta da ambo i lati ed un'ultima parete a gradoni completano la scalata alla vetta del Gran Sasso d’Italia (2912mslm). Dall’ombelico d’Italia si vedono a sud Campo Imperatore, ad Est le altre cime dei Monti della Laga, l’Adriatico illuminato d’oro dai raggi di Ra, a Nord il Corno Piccolo, a Nord-Ovest il Lago di Campotosto, ad Ovest e Nord-Ovest il resto dei Sibillini. Nei giorni di cielo limpido, sgombro da fuliggine inquinata e foschia, “...si può vedere anche il Tirreno. Questo è un posto maggico, la nostra montagna!” ci racconta un gruppo di alpinisti abbruzzesi. Dopo aver messo ad essiccare le magliette sul masso sommitale dimodoché drenasse i litri di acqua e sali minerali persi durante la salita, ci appropinquiamo con non pochi pensieri verso la discesa per la Via Normale.

Il primo pezzo della Via Ricci, en pe' ma agile
Il forcellino che dà sul Paretone a.k.a. Lu Paretò
Uno scorcio de Lu Paretò
Lu Paretò, giù a picco
Nord -> Corno Piccolo; Nord-Ovest -> lago di Campotosto; Est -> Sibillini
Liquidi, sali minerali che se ne vanno. Risolviamo i problemi idrici del centro-sud col sudore: sudate!



Scoscesa, ed in alcuni tratti infida, la discesa non riesce mai a trasmettere sicurezza. Prima passa per un irto e scivoloso costone, poi passa per un paio di canaletti. Districandoci per il secondo ed ultimo canale, sia io che Alba incappiamo in un passaggio complesso dove entrambi rischiamo di perdere il controllo e l’appoggio.Tuttavia, ecco che un appiglio improbabile si trasforma nell’oasi del deserto permettendoci di superare lo scoglio.

La Via Normale, un pexxo complexxo

Andrea ormai si sente sicuro,perché il peggio è passato e Gaia è ora quiescente. Eppur si sa, è proprio in questi casi che bisognerebbe prestare ancor più attenzione. Un masso su cui poggio il mio impercettibile peso non regge al colpo ed inizia a rotolare a valle, passando pericolosamente per la traccia che porta alla Sella dei due Corni. Fortunatamente non c’è nessuno sulla traiettoria e la pietra termina la sua corsa adagiandosi su altri detriti.
Sulla via del ritorno si passa dalla Vedretta del Calderone, quello che è considerato il ghiacciaio più a sud d'Europa. Una distesa di qualche decina di metri di ghiaccio e neve, con una pozza giasàda dove calmare la calura asfissiante. Solo per le anime più intrepide e calienti!
Purtoppo, a causa delle nostre fraudolente azioni indirizzate ad un mero soddisfacimento delle volontà personali, abbiamo dato luogo a comportamenti non sostenibili che stanno causando gravi problemi ambientali tra cui lo scoglimento dei ghiacciai. La parte paternalistica è conclusa. Io almeno ci metto la faccia.

Pozza con Vedretta del Calderone




Pensa prima di agire. RispettiAMO la terra. Io ci metto la faccia!


Da qui si torna al Franchetti, e dal Franchetti - dopo aver salutato Zen ed il romano dde Roma scappato da Roma stessa - si torna alla base per la stessa via. E dopo aver sfidato l'ambiente come una goccia che sfida l'oceano, un granello di terra il continente, ecco la meritata e usuale sosta al bar, dove liquidi ghiacciati ci aspettano. Dove la congestione è dietro l'angolo.

Andrea che sfida, con le ultime forze rimaste




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