martedì 14 novembre 2017

Elefanti in Thailandia: una vita da Pachà


Cornice 

Questi occhi sono tristi. Fonte: Io



La Tailandia è sicuramente uno dei luoghi più belli e visitati del mondo. Il paese ha visto un’esplosione vera e propria del turismo a partire dal nuovo millennio. Se infatti nel 2001, dati alla mano gentilmente offerti dal Dipartimento del Turismo del Ministero Tailandese per il Turismo e lo Sport, i richiedenti visto turistico sono stati 10,13 milioni, nel 2016 sono stati 32,59 milioni, per un incremento totale d’un 222% circa.1

La storia di questo paese, come gli altri paesi del sud-est asiatico, è fatto di povertà, agricoltura e allevamento. La naturale risposta del Governo e del popolo tailandese è stato quello di venire incontro alle richieste del turista medio, di sfruttare le infinite bellezze naturali che hanno avuto la fortuna di trovarsi per le mani. I Paesi con la maggior incidenza turistica sono la Cina, con il 27% dei turisti totali e gli Stati (dis)Uniti d’America con un 20% abbondante. E cosa possono volere un americano di Manhattan ed un cinese di Shanghai? Vogliono vedere la natura che han già distrutto nei loro paesi e vogliono vedere gli animali che non possono trovare per strada o per le campagne. Vogliono poter sognare ad occhi aperti. Cosa non si farebbe per avere una fotografia in un posto mozzafiato mentre si carezza una tigre? Magari un selfie? Con una mano che regge il telefono e l’altra che accarezza la nuca di quella povera bestia intorpidita con sedativi in modo da annichilire la sua natura, che sarebbe quella di trangugiare la mano dell’avventuriero di turno. E perché non una fotografia mentre un elefante, gentilmente, con grazia e svogliatezza pacata, ci sostiene sollevati da terra con la proboscide? E perché, già che l’animale è lì, non gli togliamo anche le zanne per vendere l’avorio? E via con l’addomesticamento di animali e bestie che appartengono al selvaggio, relegandoli ad una vita in cattività e contro la propria natura. Non solo: le infrastrutture moderne fanno sì che il lavoro di pionieri e trafficanti di animali e di piante rare sia molto più semplice. E così si è arrivati a quotidiane scene di crudeltà, che ormai lambiscono i confini della normalità da ambo le parti: richiesta ed offerta.


Durante lo show degli elefanti che si fanno il bagno. Fonte: Io

Come se la passano gli Elefanti Asiatici in Tailandia?

L’elefante asiatico è passato da poco meno di 100.000 esemplari in libertà negli anni ’70 ‘80 a circa 40.000 al 2015 di cui una cospicua percentuale vive in cattività. In Tailandia si contano circa 2500 elefanti in libertà e 3200 in cattività, destinati ad attività turistiche o domestiche in Hotel. La totalità dei meriti va attribuita a, rullo di tamburi: l’uomo. Un buon risultato, devo dire! 

In Tailandia vi sono due problemi legati agli Elefanti: il mercato illegale degli elefanti selvatici ed il mercato legale degli elefanti in cattività. Iniziamo col parlare del più semplice dei casi, ovvero il secondo. La governo tailandese, per preservare il guadagno derivante dal commercio degli elefanti asiatici e per non inimicarsi i numerosi e potenti gruppi criminali legati al commercio di animali in generale, non ha mai avuto alcun interesse a legiferare in difesa delle specie protette ed a punire le diffuse violazioni che quotidianamente avvengono sul territorio. Per questo, i confini del concetto di “mercato legale” degli elefanti è estremamente labile. All’interno rientrano concessi che in quasi tutti gli altri stati sono illegali. 

Quando andai in Tailandia nel 2013, nella provincia di Chiang Mai, visitai il parco degli elefanti, dove li vidi dipingere quadri impressionisti, calciare il pallone sotto la traversa, fare inchini e concedersi a fotografie avvilenti che componevano un simpatico quadretto assieme all’orda di turisti in coda anche per qualche ora per vedere il macabro spettacolo e per una fotografia ricordo. Queste, per dare l’idea, sono attività legali e concesse dal Governo. Sono concesse perché attrazione turistica, buona fonte di guadagno e di sostentamento per l’economia locale. Dà lavoro, quindi è bene. Ed al turista piace andare a vedere un elefante, sebbene in cattività, perché è un qualcosa fuori dall’ordinario, un’avventura. La domanda c’è. Anzi, ogni giorno aumenta sempre più e di conseguenza aumenta anche l’offerta. Aumenta l’offerta, aumentano gli animali maltrattati. La causa, i mostri, siamo noi e non solo gli ammaestratori dei parchi, non solo del governo tailandese. Loro si guadagnano da vivere, noi soddisfiamo capricci ed alimentiamo un fuoco che brucia sempre più ardentemente. Svegliamoci e rendiamoci conto delle ripercussioni che queste nostre azioni hanno su altri esseri viventi. 

Esibizione di un cucciolo di elefante. Fonte: Io

Cucciolo di elefante in evidente stato di libertà. Fonte: Io


Gli elefanti vivono in catene per tutta la vita, giorno e notte. E a dimostrazione di quanto dico, vi sono le fotografie dove si può vedere che sin da piccoli, a causa dello sfregamento delle catene, la pelle è scolorita e lacerata. Imparano a calciare il pallone ed a dipingere perché hanno paura delle conseguenze che potrebbero subire se non lo facessero. Quando non sono in catene, sono gentilmente accompagnati da uomini con una lancia appuntita. Se fanno i discoli e non rispettano i comandi, ricevono prontamente una punzecchiata. “Gli fanno solo un bucherello. Hanno la pelle spessa, non gli facciamo male”, mi risposero. Mi sarebbe piaciuto proporre loro di seguirli per due settimane con uno spillo in mano e ad ogni mio comando non rispettato: ZACCHETE, una pungolata sul collo. All’epoca non avevo gli attributi necessari, e me ne sono stato a guardare, in mezzo all’orda di turisti, contribuendo all’obbrobrio. Seguono alcune mie fotografie del viaggio per il sud-est asiatico del 2013.

Segni delle catene e catene. Fonte: Io


Elecalciatore provetto, corteggiato dal Real Madrid. Fonte: Io

Qui si può vedere gli l'aggeggio con spuntoni per colpire/punire gli elefanti. Fonte: Io

 Il secondo problema, dicevo pocanzi, è il commercio illegale di esemplari di elefante asiatico in libertà. Dalla padella, alla brace. Se un elefante ha la fortuna di nascere libero, rischia di essere catturato per finire preda del commercio illegale, nazionale ed internazionale. Uno studio di TRAFFIC2 ha portato alla luce alcuni dei meccanismi attraverso cui i bracconieri e gruppi organizzati operano. Come e dove vengono catturati? La densità più elevata di elefanti si trova lungo il confine tra Myanmar (Birmania) e Tailandia. Qui vengono scavate delle buche, dette pit-trap, e nascoste con rami ed erba – ovvero i classici buchi-trappola dei cartoni animati come si vede in fotografia – in modo da catturare i baby elefanti. Purtroppo, il tasso di lesioni gravi (ed in alcuni casi anche la morte) dovuto a questi metodi è molto elevato. Il passo seguente è la creazione di documenti falsi per farli figurare come piccoli di elefanti già in cattività. Trasportati segretamente, da lì poi vengono impiegati nelle attività turistiche in Tailandia oppure venduti al commercio internazionale ad un prezzo tra i 21.500 ed i 30.000 dollari americani. I dati raccolti da TRAFFIC parlano di oltre 50 esemplari catturati illegalmente ogni anno, tra l’inizio dello studio nel 2011 e la fine nel 2015. Di questi, il 92% è stata catturato in Myanmar. I parchi delle Province di Chiang Mai, Phuket e Surin le principali destinazioni.

Il traffico fisico degli elefanti in Tailandia. Fonte: TRAFFIC

Punti in cui avviene la cattura di elefanti tra Myanmar e Tailandia. Fonte: TRAFFIC

Cucciolo di elefante caduto in trappola. Fonte: TRAFFIC


Grazie alla passione ed all’impegno di alcune decine di persone, a partire dal 2013 sono iniziate le prime confische in seguito a catture illegali confermate. Il Governo tailandese ha iniziato a muovere i primi passi, almeno quelli necessari per mettere a tacere le sempre più diffuse critiche provenienti da animalisti e dai gruppi organizzati come TRAFFIC, WWF, GREEN PEACE, i numerosi gruppi locali per la salvaguardia delle specie a rischio estinzione e dell’ecosistema.

Siamo tutti complici in questo orribile momento della storia della Terra. Stiamo lasciando talmente tante tracce in così poco tempo che l’era in cui viviamo viene universalmente riconosciuta e chiamata Antropocene. E tocca a noi, non alle forze politiche, porre rimedio e bloccare tutto ciò.
NON andate a vedere animali in cattività negli Zoo o nei parchi. Cercate i diversi centri di recupero e ripopolamento ed accertatevi che non siano anch’essi oggetto di attività contro la natura. O, se volete vedere gli animali in libertà e volete davvero essere avventurieri come recitano i vostri hashtag, andate nella natura selvaggia a vostro rischio e pericolo.

Così facendo, daremo una valida risposta al mercato illegale di animali selvatici ed a rischio d’estinzione. La svolta è che ognuno inizi da sé stesso.

2 Fonte: An assessment of the live elephant trade in Thailand, a report for TRAFFIC, by Vincent Nijman

Il mercato illegale di Flora e Fauna: mancanza di informazione o di cuore?



Numeri1

In Europa, il mercato legale di flora e fauna, nel 2016 ha raggiunto un valore stimato in circa 100 miliardi di euro. Sebbene il valore del mercato illegale sia difficile da quantificare a causa della sua natura clandestina, quello europeo si sostiene ai aggiri attorno ai 20 miliardi di euro mentre quello mondiale navighi oltre i 250 miliardi di euro, che corrispondono al Prodotto Interno Lordo di alcuni Paesi tra i maggiori trafficanti come Malaysia e Sudafrica.

La UNODC, United States Office on Drug and Crime, ha il più importante mandato a livello internazionale per tutto ciò che riguarda la lotta al crimine organizzato, alla risoluzione dei problemi, alla legiferazione, alla pianificazione strategica ed infine alla cooperazione tra Stati Membri sul tema.

Il CITES, altresì Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, forse la più importante istituzione governativa a livello globale che si occupi di questi delicatissimi temi, ha stilato una lista di specie protette e per le quali è regolamentato il commercio legale. Le specie incluse sono, al primo trimestre del 2017, circa 37mila. Rimangono fuori dalla regolamentazione più di un milione di altre specie protette ed a rischio.

Il World WISE, il World Wildlife Seizures database, sulla base delle specie recensite dal CITES, raccoglie tutti i dettagli delle violazioni riscontrate e documentate. Fino ad ora, il database conta circa 170mila violazioni avvenuti in 122 Paesi Membri dell’ONU. Facendo riferimento alla lista di specie elencate dal CITES, è facile intuire come questo database rappresenti soltanto una piccola porzione di quanto avviene nella realtà. Il commercio di ogni specie protetta non presente nel database, viene pertanto considerato non illegale.


Numero di violazioni, mondo. Fonte World WISE

In Europa, per esempio, si stima che nel 2015 le importazioni di flora e fauna abbiano dato luogo ad un giro di affari di 641 milioni di euro, mentre le esportazioni circa il doppio, ovvero 1,1 miliardi di euro. Il dato significativo è, tuttavia, il seguente: solo 95milioni di euro delle importazioni del 2015 riguardano specie facenti parte del CITES, e solo 200 milioni delle esportazioni.

Dei 2497 casi di violazione accertati in Europa, nel 2015, dal World WISE: un 63% era destinato al mondo dei medicinali (come materia prima e come elementi da test); un 11% al mercato dell’avorio mentre il resto aveva altre destinazioni come gioielli, vestiario, cibo e derivati, svago ed infine animali domestici.
Di suddetti casi accertati, il 30% ha visto coinvolti mammiferi, il 28% rettili, il 17% coralli, il 9% uccelli, il 6% pesci, il 10% altro.

Dei 170 mila casi accertati nel mondo fino a fine 2015, un 24% è avvenuto in Asia e nell’aera del Pacifico, il 46% in America del Nord, il 15% in America del Sud, il 14% in Europa ed infine solo un 1% in Africa, strano ma vero. Dato vero ma incompleto se non contestualizzato.

 Problemi, cause e soluzioni: una visione approssimativa

Perché il commercio legale ed illegali di specie protette è oggi così diffuso nel mondo? Tutto accade per una ragione, ed ora andremo a vederne alcune che giocano un ruolo principale.
La domanda è aumentata in maniera esponenziale nelle ultime due decadi, che riguardi un mero capriccio di poter vedere un Gufo Reale in casa propria od un elefante che gioca a pallone in una “riserva” tailandese, all’utilizzo privato ed industriale (medicinali, capi d’abbigliamento, cibo, gioielli et cetera). Un mercato può funzionare se l’offerta almeno pareggia la richiesta. Il passo successivo è creare l’illusione che vi sia necessità dove invece non c’è, in modo da giustificare l’aumento dell’offerta che suscita un’ulteriore crescita dell’offerta. Quale occasione più ghiotta di guadagno facile?

Le maggiori cause per le quali un paese è spronato a prender parte al più grande scempio naturale che la storia della Terra abbia mai visto fino ad ora, sono dunque la povertà e le difficili condizioni economico-sociali in cui versano molti dei paesi tra i principali fornitori di flora e fauna protetta in maniera illegale. Vedendo margini di crescita interna e soprattutto un facile profitto, vi si buttano a capofitto.  L’UNODC, come altre istituzioni, ritiene che sia necessario agire a livello del tessuto sociale in modo da limitare la necessità della popolazione di ricorrere a queste attività illecite come fonte di guadagno.

Un altro grande problema è rappresentato dalla scarsa rilevanza che le policy e le leggi adottate dalle organizzazioni internazionali hanno a livello nazionale, regionale e locale. Ogni paese è libero di adottare le misure che ritenga più convenienti, ed ovviamente questo è un fattore importante che favorisce il commercio di flora e fauna protetta legale ed alimenta il fuoco di quello illegale. Ed è qui che svolgono un ruolo fondamentale la cooperazione internazionale dei Paesi Membri che abbiano coscienza di quanto sta avvenendo e l’azione di organizzazioni regionali e locali no-profit. Bisogna che venga instaurata una rete costituita da attori locali in comunicazione con attori globali che possono fornirsi vicendevolmente supporto. Si chiama, appunto, cooperazione. Una rete formata da impenetrabili maglie locali in grado di bloccare il commercio illegale e comportamenti incivili, immorali ed illegali.

Si potrebbero inasprire le pene per danni ambientali e stragi ambientali, definiti "serious crimes". In questo momento, le pene vanno dai 4 mesi ai 4 anni di carcere. Un'opinione portata al vaglio da diverse istituzioni mondiali ma che ancora non ha visto la luce.

Anche azioni a livello personale possono essere utili ma attenzione ad operare come cani sciolti perché chi commercia illegalmente flora e fauna protette, sono solitamente organizzazioni criminali e non è un mistero che sulla loro strada abbiano lasciato morti e feriti. Qualora rilevaste attività illegali e/ sospette denunciate alle autorità e/o alle organizzazioni locali e regionali competenti. Sarà loro premura farsi carico del resto del processo. 

Un’altra cosa che potreste fare è fermarvi a pensare. Prendere una pausa dalla vita frenetica e con poca consapevolezza di ciò che si cela dietro a molti dei nostri costumi quotidiani. Pensare, e capire se davvero una fotografia con un elefante che gioca al pallone giustifichi una vita che quell’elefante passa in catene, avendo paura ogni singolo minuto della propria vita. O se vestire un giubbetto in pelle o scarpe in camoscio giustifichino la vita che questi animali vivono in cattività, e le stragi che le specie affrontano ogni giorno. C’è un immenso bisogno che la nostra società ritorni a vivere e non solo ad esistere, che ognuno di noi sia consapevole di ciò che sta’ dietro alle sue scelte, e delle conseguenze che le stesse possono significare sulla vita di altre persone, animali o piante. Anche volendo essere egoisti non conviene proseguire in questa direzione perché per soddisfare i nostri bisogni e soprattutto i capricci, abbiamo seriamente compromesso il futuro delle generazioni che verranno. Finché la domanda è alta, l’offerta rimarrà altrettanto alta.  Finché andare allo zoo o collezionare statue d’avorio rimarrà un costume dell’uomo, l’offerta non diminuirà e di conseguenza nemmeno le atrocità che vengono commesse.

Sono tuttora perplesso, non capisco se tutto ciò che vedo sia dovuto ad una mancanza d’informazione o ad una mancanza di cuore. Voglio pensare che sia la prima, ed è per questo motivo che ho deciso di presentarvi qualche numero in questo maccheronico report che non ha grosse pretese se non quelle di informare e soffiare un poco sulla polvere che si è posata sulla coscienza.


1 Fonti principali: EU trade policy and the Wildlife trade, Directorate-General for external policies, Policy Department, 2016; World Wildlife Crime Report: Trafficking in protected species, United Nation Office on Drugs and Crime.