martedì 14 novembre 2017

Il mercato illegale di Flora e Fauna: mancanza di informazione o di cuore?



Numeri1

In Europa, il mercato legale di flora e fauna, nel 2016 ha raggiunto un valore stimato in circa 100 miliardi di euro. Sebbene il valore del mercato illegale sia difficile da quantificare a causa della sua natura clandestina, quello europeo si sostiene ai aggiri attorno ai 20 miliardi di euro mentre quello mondiale navighi oltre i 250 miliardi di euro, che corrispondono al Prodotto Interno Lordo di alcuni Paesi tra i maggiori trafficanti come Malaysia e Sudafrica.

La UNODC, United States Office on Drug and Crime, ha il più importante mandato a livello internazionale per tutto ciò che riguarda la lotta al crimine organizzato, alla risoluzione dei problemi, alla legiferazione, alla pianificazione strategica ed infine alla cooperazione tra Stati Membri sul tema.

Il CITES, altresì Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, forse la più importante istituzione governativa a livello globale che si occupi di questi delicatissimi temi, ha stilato una lista di specie protette e per le quali è regolamentato il commercio legale. Le specie incluse sono, al primo trimestre del 2017, circa 37mila. Rimangono fuori dalla regolamentazione più di un milione di altre specie protette ed a rischio.

Il World WISE, il World Wildlife Seizures database, sulla base delle specie recensite dal CITES, raccoglie tutti i dettagli delle violazioni riscontrate e documentate. Fino ad ora, il database conta circa 170mila violazioni avvenuti in 122 Paesi Membri dell’ONU. Facendo riferimento alla lista di specie elencate dal CITES, è facile intuire come questo database rappresenti soltanto una piccola porzione di quanto avviene nella realtà. Il commercio di ogni specie protetta non presente nel database, viene pertanto considerato non illegale.


Numero di violazioni, mondo. Fonte World WISE

In Europa, per esempio, si stima che nel 2015 le importazioni di flora e fauna abbiano dato luogo ad un giro di affari di 641 milioni di euro, mentre le esportazioni circa il doppio, ovvero 1,1 miliardi di euro. Il dato significativo è, tuttavia, il seguente: solo 95milioni di euro delle importazioni del 2015 riguardano specie facenti parte del CITES, e solo 200 milioni delle esportazioni.

Dei 2497 casi di violazione accertati in Europa, nel 2015, dal World WISE: un 63% era destinato al mondo dei medicinali (come materia prima e come elementi da test); un 11% al mercato dell’avorio mentre il resto aveva altre destinazioni come gioielli, vestiario, cibo e derivati, svago ed infine animali domestici.
Di suddetti casi accertati, il 30% ha visto coinvolti mammiferi, il 28% rettili, il 17% coralli, il 9% uccelli, il 6% pesci, il 10% altro.

Dei 170 mila casi accertati nel mondo fino a fine 2015, un 24% è avvenuto in Asia e nell’aera del Pacifico, il 46% in America del Nord, il 15% in America del Sud, il 14% in Europa ed infine solo un 1% in Africa, strano ma vero. Dato vero ma incompleto se non contestualizzato.

 Problemi, cause e soluzioni: una visione approssimativa

Perché il commercio legale ed illegali di specie protette è oggi così diffuso nel mondo? Tutto accade per una ragione, ed ora andremo a vederne alcune che giocano un ruolo principale.
La domanda è aumentata in maniera esponenziale nelle ultime due decadi, che riguardi un mero capriccio di poter vedere un Gufo Reale in casa propria od un elefante che gioca a pallone in una “riserva” tailandese, all’utilizzo privato ed industriale (medicinali, capi d’abbigliamento, cibo, gioielli et cetera). Un mercato può funzionare se l’offerta almeno pareggia la richiesta. Il passo successivo è creare l’illusione che vi sia necessità dove invece non c’è, in modo da giustificare l’aumento dell’offerta che suscita un’ulteriore crescita dell’offerta. Quale occasione più ghiotta di guadagno facile?

Le maggiori cause per le quali un paese è spronato a prender parte al più grande scempio naturale che la storia della Terra abbia mai visto fino ad ora, sono dunque la povertà e le difficili condizioni economico-sociali in cui versano molti dei paesi tra i principali fornitori di flora e fauna protetta in maniera illegale. Vedendo margini di crescita interna e soprattutto un facile profitto, vi si buttano a capofitto.  L’UNODC, come altre istituzioni, ritiene che sia necessario agire a livello del tessuto sociale in modo da limitare la necessità della popolazione di ricorrere a queste attività illecite come fonte di guadagno.

Un altro grande problema è rappresentato dalla scarsa rilevanza che le policy e le leggi adottate dalle organizzazioni internazionali hanno a livello nazionale, regionale e locale. Ogni paese è libero di adottare le misure che ritenga più convenienti, ed ovviamente questo è un fattore importante che favorisce il commercio di flora e fauna protetta legale ed alimenta il fuoco di quello illegale. Ed è qui che svolgono un ruolo fondamentale la cooperazione internazionale dei Paesi Membri che abbiano coscienza di quanto sta avvenendo e l’azione di organizzazioni regionali e locali no-profit. Bisogna che venga instaurata una rete costituita da attori locali in comunicazione con attori globali che possono fornirsi vicendevolmente supporto. Si chiama, appunto, cooperazione. Una rete formata da impenetrabili maglie locali in grado di bloccare il commercio illegale e comportamenti incivili, immorali ed illegali.

Si potrebbero inasprire le pene per danni ambientali e stragi ambientali, definiti "serious crimes". In questo momento, le pene vanno dai 4 mesi ai 4 anni di carcere. Un'opinione portata al vaglio da diverse istituzioni mondiali ma che ancora non ha visto la luce.

Anche azioni a livello personale possono essere utili ma attenzione ad operare come cani sciolti perché chi commercia illegalmente flora e fauna protette, sono solitamente organizzazioni criminali e non è un mistero che sulla loro strada abbiano lasciato morti e feriti. Qualora rilevaste attività illegali e/ sospette denunciate alle autorità e/o alle organizzazioni locali e regionali competenti. Sarà loro premura farsi carico del resto del processo. 

Un’altra cosa che potreste fare è fermarvi a pensare. Prendere una pausa dalla vita frenetica e con poca consapevolezza di ciò che si cela dietro a molti dei nostri costumi quotidiani. Pensare, e capire se davvero una fotografia con un elefante che gioca al pallone giustifichi una vita che quell’elefante passa in catene, avendo paura ogni singolo minuto della propria vita. O se vestire un giubbetto in pelle o scarpe in camoscio giustifichino la vita che questi animali vivono in cattività, e le stragi che le specie affrontano ogni giorno. C’è un immenso bisogno che la nostra società ritorni a vivere e non solo ad esistere, che ognuno di noi sia consapevole di ciò che sta’ dietro alle sue scelte, e delle conseguenze che le stesse possono significare sulla vita di altre persone, animali o piante. Anche volendo essere egoisti non conviene proseguire in questa direzione perché per soddisfare i nostri bisogni e soprattutto i capricci, abbiamo seriamente compromesso il futuro delle generazioni che verranno. Finché la domanda è alta, l’offerta rimarrà altrettanto alta.  Finché andare allo zoo o collezionare statue d’avorio rimarrà un costume dell’uomo, l’offerta non diminuirà e di conseguenza nemmeno le atrocità che vengono commesse.

Sono tuttora perplesso, non capisco se tutto ciò che vedo sia dovuto ad una mancanza d’informazione o ad una mancanza di cuore. Voglio pensare che sia la prima, ed è per questo motivo che ho deciso di presentarvi qualche numero in questo maccheronico report che non ha grosse pretese se non quelle di informare e soffiare un poco sulla polvere che si è posata sulla coscienza.


1 Fonti principali: EU trade policy and the Wildlife trade, Directorate-General for external policies, Policy Department, 2016; World Wildlife Crime Report: Trafficking in protected species, United Nation Office on Drugs and Crime.

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