Numeri1
In Europa, il mercato legale di flora e fauna, nel 2016 ha
raggiunto un valore stimato in circa 100 miliardi di euro. Sebbene il valore del
mercato illegale sia difficile da quantificare a causa della sua natura
clandestina, quello europeo si sostiene ai aggiri attorno ai 20 miliardi di
euro mentre quello mondiale navighi oltre i 250 miliardi di euro, che
corrispondono al Prodotto Interno Lordo di alcuni Paesi tra i maggiori
trafficanti come Malaysia e Sudafrica.
La UNODC, United States Office on Drug and Crime, ha il più
importante mandato a livello internazionale per tutto ciò che riguarda la lotta
al crimine organizzato, alla risoluzione dei problemi, alla legiferazione, alla
pianificazione strategica ed infine alla cooperazione tra Stati Membri sul
tema.
Il CITES, altresì Convention on International Trade in
Endangered Species of Wild Fauna and Flora, forse la più importante istituzione
governativa a livello globale che si occupi di questi delicatissimi temi, ha
stilato una lista di specie protette e per le quali è regolamentato il
commercio legale. Le specie incluse sono, al primo trimestre del 2017, circa 37mila.
Rimangono fuori dalla regolamentazione più di un milione di altre specie
protette ed a rischio.
Il World WISE, il World Wildlife Seizures database, sulla
base delle specie recensite dal CITES, raccoglie tutti i dettagli delle
violazioni riscontrate e documentate. Fino ad ora, il database conta circa 170mila
violazioni avvenuti in 122 Paesi Membri dell’ONU. Facendo riferimento alla
lista di specie elencate dal CITES, è facile intuire come questo database
rappresenti soltanto una piccola porzione di quanto avviene nella realtà. Il
commercio di ogni specie protetta non presente nel database, viene pertanto
considerato non illegale.
Numero di violazioni, mondo. Fonte World WISE |
In Europa, per esempio, si stima che nel 2015 le
importazioni di flora e fauna abbiano dato luogo ad un giro di affari di 641
milioni di euro, mentre le esportazioni circa il doppio, ovvero 1,1 miliardi di
euro. Il dato significativo è, tuttavia, il seguente: solo 95milioni di euro
delle importazioni del 2015 riguardano specie facenti parte del CITES, e solo
200 milioni delle esportazioni.
Dei 2497 casi di violazione accertati in Europa, nel 2015,
dal World WISE: un 63% era destinato al mondo dei medicinali (come materia
prima e come elementi da test); un 11% al mercato dell’avorio mentre il resto
aveva altre destinazioni come gioielli, vestiario, cibo e derivati, svago ed
infine animali domestici.
Di suddetti casi accertati, il 30% ha visto coinvolti
mammiferi, il 28% rettili, il 17% coralli, il 9% uccelli, il 6% pesci, il 10%
altro.
Dei 170 mila casi accertati nel mondo fino a fine 2015, un
24% è avvenuto in Asia e nell’aera del Pacifico, il 46% in America del Nord, il
15% in America del Sud, il 14% in Europa ed infine solo un 1% in Africa, strano
ma vero. Dato vero ma incompleto se non contestualizzato.
Problemi, cause e soluzioni: una visione approssimativa
Perché il commercio legale ed illegali di specie protette è
oggi così diffuso nel mondo? Tutto accade per una ragione, ed ora andremo a
vederne alcune che giocano un ruolo principale.
La domanda è aumentata in maniera esponenziale nelle ultime
due decadi, che riguardi un mero capriccio di poter vedere un Gufo Reale in
casa propria od un elefante che gioca a pallone in una “riserva” tailandese,
all’utilizzo privato ed industriale (medicinali, capi d’abbigliamento, cibo,
gioielli et cetera). Un mercato può funzionare se l’offerta almeno pareggia la
richiesta. Il passo successivo è creare l’illusione che vi sia necessità dove
invece non c’è, in modo da giustificare l’aumento dell’offerta che suscita un’ulteriore
crescita dell’offerta. Quale occasione più ghiotta di guadagno facile?
Le maggiori cause per le quali un paese è spronato a prender
parte al più grande scempio naturale che la storia della Terra abbia mai visto
fino ad ora, sono dunque la povertà e le difficili condizioni economico-sociali
in cui versano molti dei paesi tra i principali fornitori di flora e fauna
protetta in maniera illegale. Vedendo margini di crescita interna e soprattutto
un facile profitto, vi si buttano a capofitto.
L’UNODC, come altre istituzioni, ritiene che sia necessario agire a
livello del tessuto sociale in modo da limitare la necessità della popolazione
di ricorrere a queste attività illecite come fonte di guadagno.
Un altro grande problema è rappresentato dalla scarsa
rilevanza che le policy e le leggi adottate dalle organizzazioni internazionali
hanno a livello nazionale, regionale e locale. Ogni paese è libero di adottare
le misure che ritenga più convenienti, ed ovviamente questo è un fattore importante
che favorisce il commercio di flora e fauna protetta legale ed alimenta il
fuoco di quello illegale. Ed è qui che svolgono un ruolo fondamentale la
cooperazione internazionale dei Paesi Membri che abbiano coscienza di quanto
sta avvenendo e l’azione di organizzazioni regionali e locali no-profit.
Bisogna che venga instaurata una rete costituita da attori locali in
comunicazione con attori globali che possono fornirsi vicendevolmente supporto.
Si chiama, appunto, cooperazione. Una rete formata da impenetrabili maglie
locali in grado di bloccare il commercio illegale e comportamenti incivili,
immorali ed illegali.
Si potrebbero inasprire le pene per danni ambientali e stragi ambientali, definiti "serious crimes". In questo momento, le pene vanno dai 4 mesi ai 4 anni di carcere. Un'opinione portata al vaglio da diverse istituzioni mondiali ma che ancora non ha visto la luce.
Anche azioni a livello personale possono essere utili ma
attenzione ad operare come cani sciolti perché chi commercia illegalmente flora
e fauna protette, sono solitamente organizzazioni criminali e non è un mistero
che sulla loro strada abbiano lasciato morti e feriti. Qualora rilevaste
attività illegali e/ sospette denunciate alle autorità e/o alle organizzazioni
locali e regionali competenti. Sarà loro premura farsi carico del resto del
processo.
Un’altra cosa che potreste fare è fermarvi a pensare.
Prendere una pausa dalla vita frenetica e con poca consapevolezza di ciò che si
cela dietro a molti dei nostri costumi quotidiani. Pensare, e capire se davvero
una fotografia con un elefante che gioca al pallone giustifichi una vita che
quell’elefante passa in catene, avendo paura ogni singolo minuto della propria
vita. O se vestire un giubbetto in pelle o scarpe in camoscio giustifichino la
vita che questi animali vivono in cattività, e le stragi che le specie
affrontano ogni giorno. C’è un immenso bisogno che la nostra società ritorni a
vivere e non solo ad esistere, che ognuno di noi sia consapevole di ciò che sta’
dietro alle sue scelte, e delle conseguenze che le stesse possono
significare sulla vita di altre persone, animali o piante. Anche volendo essere
egoisti non conviene proseguire in questa direzione perché per soddisfare i
nostri bisogni e soprattutto i capricci, abbiamo seriamente compromesso il
futuro delle generazioni che verranno. Finché la domanda è alta, l’offerta
rimarrà altrettanto alta. Finché andare
allo zoo o collezionare statue d’avorio rimarrà un costume dell’uomo, l’offerta
non diminuirà e di conseguenza nemmeno le atrocità che vengono commesse.
Sono tuttora perplesso, non capisco se tutto ciò che vedo
sia dovuto ad una mancanza d’informazione o ad una mancanza di cuore. Voglio pensare
che sia la prima, ed è per questo motivo che ho deciso di presentarvi qualche
numero in questo maccheronico report che non ha grosse pretese se non quelle di
informare e soffiare un poco sulla polvere che si è posata sulla coscienza.
1 Fonti principali: EU trade policy and the Wildlife trade, Directorate-General for
external policies, Policy Department, 2016; World
Wildlife Crime Report: Trafficking in protected species, United Nation
Office on Drugs and Crime.
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