Sarai grande prima che quest’albero diventi alto, mi disse.
Scansammo le prime castagne della stagione e ci sedemmo
sull’erba, ancora bagnata dalla leggera pioggia autunnale della notte
precedente, sotto il grande castagno. Guardammo a lungo gli spilli verdi che
dalla terra, fieri, cercavano di respirare in superficie tra il macero di
foglie color ocra-rossiccio. Il ricciolo biondo, quel giorno solitario,
preannunciò a tutti una giornata tranquilla.
A valle nulla si muoveva, ma percepì ugualmente da lontano
il frenetico crepitio della città. Allora immaginai come doveva esser stato
quel posto. Mare, fu mare. E poi divenne palude. Poi l’acqua si ritirò e la
palude si asciugò. Alcune rocce si scontrarono, mentre altre litigarono e si
ritirarono ognuna per la sua direzione. Grandi egoiste le montagne, pensai. Ché
vivono divise e nessuna che si curi della prossima. Le montagne sono femmine,
chiesi. Se sono egoiste allora sono maschi, egoisti, mi corresse.
Sarai grande prima che quest’albero diventi alto, mi disse.
Puoi immaginare quanti alberi ci sono nel mondo? E quanti ce
ne sono stati prima di quelli che ora vedi? Continuò. Mi misi a contare, ma a
sei anni non fui capace di superare il 39. Nel mondo ci sono 39 alberi, dissi. E
prima di questi, ce ne furono altri 39, continuai con fermezza. Lo pianteremo
oggi, perché il periodo di luna crescente l’aiuterà a germogliare forte e
robusto, spiegò. E più in fretta, aggiunse. Più in fretta, domandai sorpreso.
Perché mai dovrebbe avere fretta di crescere, bisbigliai al vento.
Dovrai comportarti con tutte le persone come farai con
quest’albero, suggerì con voce fioca, quasi come se cercasse di dire altro ma
senza riuscirvi. Quasi cercasse espiazione per il presente ed il futuro più che
per il passato. E come dovrei comportarmi con un albero, se non so come ci si
comporta con le persone, domandai con le sopracciglia corrugate. Ci si prende
cura degli alberi dando loro da bere quando hanno sete e carezzandole quando
sono tristi. Ci si prende cura degli alberi abbracciandoli durante i freddi
inverni per arrestare i loro tremolii. Darai loro ciò che necessitano, il tuo
amore, senza pretendere ritorno alcuno, terminò il lungo ammaestramento. Da
migliaia di anni loro ci permettono di respirare, di sopravvivere, quasi si
dimenticò di spiegarmi. Ed ascolta la luna, osservala e non dimenticartene mai,
esplose singhiozzando.
La luna è tanto lontana, come può influenzare la crescita di
un albero, mi stupii. Il dubbio, lecito, scivolò fuori dalle mie labbra senza
che potessi frenarlo. La luna influenza gran parte della nostra quotidianità.
Siamo soggetti a quella misteriosa legge per la quale certi processi quotidiani
quali la gravidanza, la crescita delle piante, la maturazione dei frutti e il
decorso delle malattie dipendono dai periodi lunari. Ed il moto delle maree,
forse il più tangibile degli effetti dell’attrazione gravitazionale della luna
sulla Terra, completò. La risposta, per quanto apparentemente esauriente, mi lasciò con un rinnovato appetito. Volevo sapere il meccanismo d’ognuna delle forze oscure
attraverso le quali la luna, si supponeva, esercitasse il suo potere
decisionale sulla vita della natura. A sei anni, realizzai poco dopo essermi
interrogato sul senso di tutto ciò, non era ancora giunto il momento per me di
barricarmi dietro concetti astrofisici ed antropologici. Ne fui perfettamente
conscio. Lasciai dunque che la luna iniziasse ad esercitare la sua famosa magìa
anche su di me e sul mio albero. Decisi di continuare a crescere, ma con calma.
La luna è una femmina, ne sono certo, sussurrai al fugace vento di fine
ottobre.
Sarai grande prima che quest’albero diventi alto, mi disse.
Fu così che quel tardo pomeriggio di fine ottobre, al
sorgere dell’ultima luna crescente, piantai le radici di quello che sarebbe
diventato il mio migliore amico. Fu così che nel momento di massimo
potenziamento e rigenerazione, trapiantai le mie speranze di bambino nella
dolce luna. Fu così che ci guardammo, in un silenzio campestre, vento gentil
vettore di caduche foglie, con occhi diversi. Giunse il tempo che la luna si
facesse piena. E si sa, la luna piena aumenta il flusso sanguigno. Ed allora
soffia, soffia sulla ferita affinché si asciughi.
Sarà il dorso o sarà la faccia, mi domandai, che la luna non
vuole girare mai verso la Terra.