mercoledì 13 settembre 2017

Cercedilla-Segovia: sulle orme di Santiago



Il piccolo gioiello naturale nei dintorni di Madrid. Sono le montagne più anziane d’Europa: la Sierra de Guadarrama. E questa è la terza volta in tre anni che ho la fortuna di vederle da vicino, di poterne odorare i muschi e di poter toccare con mano il bel granito rosa, una delle pietre che compongono questa catena montuosa chiamata “Sistema Central” che si estende a nord-ovest di Madrid, riparando spesso quest’ultima dalle piogge atlantiche di minor importanza. I picchi più alti, come il Peñalara, raggiungono i 2400-2500. Paesaggi suggestivi che rappresentano l’emblematico confine tra il verde e piovoso nord della penisola iberica e le immense praterie aride e brulle del sud.

Ed anche qui c’è lo zampino de Romani, quelli antichi! La storia, raccontatami da Miguel – Don Miguel, in segno dell'enorme rispetto che nutro nei suoi confronti –  tre anni or sono, ci dice che i Pini Silvestri ora presenti e che rappresentano più del 90% della flora locale non siano autoctoni. Nella zona erano presenti altri alberi, un tipo particolare di Faggio, chiedo venia per la scarsa precisione. I Romani, sempre quelli antichi, utilizzarono tutto il legname e disboscarono così la zona che servì per passare a Ovest. Poi importarono dall’Italia pini silvestri e ne tappezzarono la zona. Il sottobosco vede la Felce regnare sovrana. Uno dei fiori più comuni è il Narciso, poi non è raro trovare il Crocus Vernus.

Bosco di Pini Silvestri, importati dai Romani antichi. E la felce!


Una miscellanea ben riuscita di rocce chiude il quadro. Principalmente di origine sedimentaria, la roccia che si può trovare nel Sistema Central varia dal Granito (vedi La Pedriza, vedi il Granito Rosa della Valle de la Fuenfrìa) al marmo in alcune zone. Il resto è di origine sedimentaria, come quasi tutto l’altipiano centrale spagnolo. Non si dica, però, che le fondamenta di Madrid sono costruite sulla sabbia!
Sebbene io rispetti appieno e faccia quasi di tutto per aiutare mia madre Natura nonché compagna di vita Gaia, dev’esserci qualche problema di comunicazione nell’ultimo periodo. Il mio errore, questa volta, è stato quello di controllare il meteo a Madrid e non a Cercedilla, effettiva partenza della mia gita. E’ come se volessi andare a trovare mio fratello l’Adamello e guardassi le previsioni metereologiche di Rovato. Ebbene, dagli 11°C di Madrid alle 05:40 del mattino avrei dovuto pensare che forse in montagna non sarebbe stata abbastanza una maglietta a maniche corte. Da Atocha, prendo il trenino che ha come fine corsa Cercedilla. Alle 08:00 sono a Cercedilla, senza colazione perché pensavo di trattarmi da vero signore e di farla al bar. Peccato che i bar aprano alle 09:00. I bar? Il bar, voglio dire! Ah sì, il GPS non ce l’ho. Il mio unico navigatore è la memoria della recensione letta giorni addietro. 

E così si parte senza colazione e con maglietta a maniche corte con gli 8°C di Cercedilla. Il sentiero, curiosamente, inizia alla fine del binario 4 della stazione di Cercedilla ed è chiamato “Camino de los Campamentos”. L’alternativa è risalire al lato della strada provinciale che termina al parcheggio ultimo in prossimità del Sanatorio de Fuenfrìa. Il vento, è il vento che mi preoccupa perché spira, autunnale, a circa 25km/h con raffiche a 40km/h (così ho letto su AEMET). Ne risulta una sensazione di sudore ghiacciato sulla schiena e sul collo. Per questo motivo e perché ho ancora di fronte 38km con l’alta possibilità che venga a piovere, mi metto a correre. (fotografia cielo nero)

Cielo monello in direzione Fuenfrìa


Il sentiero si ricongiunge, con non poche deviazioni che mettono alla prova il mio orientamento, all’antica Calzada Romana che poi seguo fino in cima al Puerto de la Fuenfrìa. La calzada romana è l’antica strada che costruirono i Romani per oltrepassare questa catena montuosa. Un’altra dimostrazione di intelligenza progettuale dei nostri antenati. La calzada romana passa sopra tre ponti tuttora transitabili a piedi, cavallo e bicicletta e ben tenuti. Una pietra miliare indica 605km a Santiago de Compostela. Sono sulle orme di Santiago: ora si che mi posso definire un pellegrino a tutti gli effetti!

Mi sento un vero e proprio pellegrino


La Calzada romana

Il terreno è piuttosto dissestato, vi sono delle antipatiche e medio-grandi pietre smosse sulle quali non si può fare affidamento alcuno. La vegetazione è inversamente proporzionale al meteo: mano a mano che si prende quota, il vento aumenta, la bufera si avvicina e la vegetazione diminuisce fino a quasi scomparire verso i 1750/1800 metri. Ora, il vento soffia inclemente nuvole e nebbia verso sud-est – sarebbe a dire verso di me – e le mani e gli avambracci iniziano a reclamare uno strato di vestiario. Soprattutto le mani, che perdono sensibilità.
 
Sole spento. Andrea tra le nubi

Puerto de la Fuenfrìa lì a tiro. O forse è solo un'impressione?


Vedo ormai lo scollinamento, il punto più alto della gita nonché la fine della parte più consistente del dislivello positivo, al Puerto (passo) de la Fuenfrìa quando gli angeli su nel cielo decidono di orinare. Prima poche gocce, poi una leggera pioggerella mi accompagnano fino al passo e per il primo pezzo della discesa verso Segovia. Ivi mi balena per la testa l’idea di fare dietrofront, perché il cielo è livido e sto per scendere dall’altra parte della Spagna e da lì, prima di giungere al primo punto di appoggio ci sono ancora 20km, ancora 30 per la stazione di Segovia. Decido di continuare per la strada come da progetto originario e di vedere que pasa. La Fuenfrìa, come intuibile dal nome, è una fonte di acqua piuttosto fredda ed inusuale a queste longitudini. Al passo giungono raffiche di vento gelido che mi convincono a scattare due fotografie ed un autoscatto di rito – che non posto per non perdere quei due lettori, di grazia, che ho –  e di tuffarmi, letteralmente, in discesa. Sono ora a 598km da Santiago de Compostela. 


Visibilità buona. Si vede fino in Portogallo.

Manca poco


Il primo tratto di discesa è completamente tra le nubi. Mi trovo nel bel mezzo della pensierosa perturbazione. Sono forzato a procedere a passo agile ma tuttavia con estrema cautela a causa del terreno smosso e scivoloso e della visibilità limitata. Mentre corro in discesa agito le braccia come mi ha insegnato il maestro Alba per riattivare la circolazione. E funziona. Dopo circa mezz’ora, cessata la pioggerella, rimane il vento che si mette di buon animo a spazzare il cielo dalle nuvole. Vedo il sole. Non esser timido su, dai, esci ed esplodi dolcemente il tuo tepore sulla mia pelle!
Seguo le frecce azzurre, in precedenza gialle, indicante la via per Segovia. Alcune praterie con una traccia e passaggi per strade secondarie di frazioni secondarie di paesi secondari mi conducono fino alla periferia di Segovia. Manca poco, ormai è fatta. Ora ho il solo pensiero di arrivare a Segovia per introdurmi di prepotenza nella prima cafeterìa e di trangugiare qualsivoglia alimento che non contenga carne e pesce. 

E la trovo, sul viale che conduce al centro del piccolo centro, anch’esso di origine romana.  Per trasparenza degli avvenimenti, si sappia che ero già a conoscenza di quella piccola cafeterìa in cui due anni or sono gustai la loro ottima offerta di bollitos. Quest’oggi mi concedo una barrita con tomate, fuori luogo essendo tipica di Madrid, ed un pincho de tortilla con un bel caffelatte bollente. Mi siedo ad un tavolo al sole ed osservo i passanti. Osservo il cielo, ora blu con qualche nube bianca, e penso a quanto è bella la vita. Penso a quanto siamo fortunati ad essere nati.
Da Segovia prendo il treno che mi riporta verso la mia casa madrilena, ed un pincho de tortilla con un bel caffelatte bollente. Mi siedo ad un tavolo al sole ed osservo i passanti. Osservo il cielo, ora blu con qualche nube bianca, e penso a quanto è bella la vita. Penso a quanto siamo fortunati ad essere nati. 

Faccio un giro della città, sebbene pulluli di turisti e la cosa non mi garbi particolarmente. Ammiro l’acquedotto romano, considerato un miracolo dell’ingegneria antica, la cattedrale e poi decido sia giunto il momento di fare ritorno. Da Segovia prendo il treno che mi riporta verso la mia provvisoria casa madrilena.

Foto di Re Pertorio dell'acueducto de Segovia. E delle rondini a rallegrare

Cattedrale, Milano piazza Duomo
Vicolo sgombro di turisti

giovedì 7 settembre 2017

Adamello, dove mi portò il cuore.



Quando due onde viaggiano sulla stessa frequenza, prima o dopo si incontrano. Prima o poi, quelle due onde, pensano alla stessa cosa.

Conscio del fallimento – non chiamiamolo fallimento, chiamiamolo piuttosto esperienza utile e di formazione – del tentativo di salita all’Adamello del 12 Agosto quando fummo sorpresi da un temporale che ha portato neve fino ai 2500 metri, ghiacciando le pareti della Terzulli, lasciando un cielo terso da nuvole plumbee e mettendo alla prova tecnica e coraggio del sottoscritto e di suo fratello Alba, senza pressione alcuna, naturalmente, decisi di riprovarla con il mio compagno di cordata od anche solo. Data l’incombente partenza per Madrid ed un fronte temporalesco in avvicinamento dall’Atlantico, sapevo che sarebbe stata forse l’ultima occasione nel 2017. Mai dire mai, certo, ma la sensazione era proprio quella appena descritta. Una mail ad Alba con proposta di scalata all’Adamello per il 26 e/o 27 Agosto, senza però prenderla per parola certa. Questa filosofia di vita inizia a gustarmi, eccome. Pianifichiamo sì, ma rimaniamo consapevoli che una delle infinite possibili variabili potrebbe far cambiare i piani.

L’idea è quella di arrivare col primo treno a Malonno, il sabato mattina, e poi da lì decidere se dormire al bivacco d’emergenza Ugolino Ugolini oppure se tentarla in giornata, col rischio però – parola del centro di previsione meteo svizzero – di un temporale di passaggio dopo le 18:00.
Al mio arrivo alla stazione di Malonno vengo accolto calorosamente da una trepidante folla composta da: Alba che dormiva sui sedili posteriori della sua auto. Un cenno, un caffè sulla strada ed inizia la nostra piccola avventura.

La folla che acclama l'impresa: Alba dormiente


Alle ore 10:00 siamo a Pont del Guat e poco dopo ci dirigiamo in direzione Scale del Miller, altresì muro del pianto, altresì Via Crucis maxima. Ivi è dove ci si sente dei piccoli Sisifo che spingono il masso per la dura salita come punizione divina, e poi giù e poi daccapo un’altra volta. Sebbene la mia intenzione non sia quella di suscitare compassione o di voler spacciare la mia salita per dimostrazione straordinaria di tenacia e sacrificio, si dica in questa sede che la stanchezza fisica accumulata nei 10 giorni precedenti ha fatto sì che quel sabato non sarei forse stato in grado di portare a termine una Maddalena con ritmi da padre di famiglia appesantito da un bis di profiterole, passeggino compreso. Il cuore e la testa, quando vanno d’accordo, fanno miracoli.

Sulle scale del Miller si va a risparmio, anche se dopo anni di smontagnate con Alba ho capito che il nostro trattenersi ed andare adagio, in realtà, corrisponde ad una camminata normale. Verso la fine delle scale, scorgiamo un terzetto dalla difficile interpretazione, atti a mangiare lamponi autoctoni della Val Miller. Anche loro sono diretti all’Ugolini. Ci si mette d’accordo, scherzando, che il primo gruppo che arriva tiene il posto all’altro. Al Gnutti tiriamo dritti e non passiamo a salutare Caterina. Che non me ne voglia!

Finalmente si vede la Val Miller, per la prima volta senza nubi e/o nebbia e/o temporali

E’ una gran bella giornata. Il sole irradia la sua forza nell’atmosfera e la calura ci obbliga a rifornimenti d’acqua extra da ogni qualsivoglia rigagnolo s’incontri durante il cammino. Alcuni sky-runner ci avvisano circa due gruppi: uno di 4 persone ed un gruppo eterogeneo formato da 3 ragazzi dalla provenienza ignota.  Entrambi ci precedono ed hanno intenzione di dormire all’Ugolini. A circa metà strada tra il Gnutti e l’inizio della Terzulli, una pausa di una mezz’oretta per recuperare le forze e mangiare prima di affrontare l’infido ed infimo ghiaione morenico che precede uno dei due pezzi più divertenti della giornata. Dopo circa 15 minuti sopravvengono anche Isabella ed Angelo, due componenti del terzetto mangia-lamponi incontrato poco tempo prima. Lì la situazione diviene chiara: Angelo è il padre della graziosa Isabella mentre il terzo, fermatosi a pranzo al Gnutti e di nome Paolo, è un amico di Isabella ed esperto del Servizio Glaciologico Lombardo (http://www.servizioglaciologicolombardo.it/campagne_glaciologiche/campagna_2016/adamello.asp)

Il bivacco conta 9 posti letto in 3,5mq e se la matematica non è un’opinione le persone intenzionate a dormire a 3280mslm a questo punto della giornata sono: straniero1, straniero2, straniero3, ignoto1, ignoto2, ignoto3, ignoto4 e poi veniamo io, Alba ed infine Isabella, Angelo e Paolo. Io ed Alba si riparte con destinazione Ugolini, con una fretta appena accennata. A circa metà del ghiaione scivoloso, incontro il quartetto d’ignoti intenzionato a dormire all’Ugolini ma con passo estremamente lento. Lo definirei quasi rassegnato. Non appena li raggiungo, mi chiedono quanto manchi alla Terzulli e poi all’Ugolini. Ivi sfodero le mie doti da PR di bassa lega e da manipolatore di cervelli e li induco a pensare che la strada sia troppo lunga e faticosa. Sulla curva dopo, per punizione divina come ci tramanda il mito di Sisifo, perdo il passo, scivolo e ne risulta un’artistica escoriazione sulla tibia sinistra. Il male pone in secondo piano la stanchezza che le mie gambe stanno patendo da qualche ora ormai.

Ecco la Terzulli, questa volta non ghiacciata ma con ancora qualche rimasuglio di neve che però non ci impensierisce. Con qualche pausa in più del previsto, la arrampichiamo con agili mosse da veri Alex Honnold. Anche le sensazioni e la tranquillità sono quelle del buon free-climber americano. Il sorriso è quello solare del ceco Adam Ondra. La bellezza dei soggetti (io ed Alba) non sicuramente paragonabile a quella di Sasha Digiulian. I capelli sono aerodinamicamente rasati, ed io presento baffi e basette da compagno degli anni ’70. Insomma, agghindati come siamo, anche noi siamo comunque di bell’aspetto.


Alba procede sulla Terzulli con fare da Honnold



Ed anche io procedo sulla Terzulli, con fare balordo ma alla Ondra



I due ometti Alba&Andrea TM (diritti riservati) arrivano al Passo Adamello ed indossano i ramponi. I due ometti sono contenti come se stessero andando al parco giochi.

Ometto Alba al Passo Adamello


“Quest’anno il livello del ghiacciaio è circa 20-30 metri in meno del solito. Sai? Si sta abbassando ormai più di 5cm del normale al giorno, sai?”. “E questo succede perché la nostra società vuole tutto e subito. E per averlo, non ci si interessa più del mondo naturale in cui noi stessi viviamo. Inquiniamo, consumiamo per arrivare ad un benessere medio-alto ed illusorio. Per garantire al ciccione americano di avere il suo hamburger a qualsiasi ora del giorno e della notte”. “Qui non si tratta di progetti di grande levatura, ma piuttosto che ognuno di noi nel suo piccolo quotidiano cerchi di vivere lasciando meno tracce possibili sul Pianeta Terra. O continueremo a far soffrire alberi, ghiacci, animali ed a distruggere l’ecosistema dove anche noi, come altri miliardi di esseri viventi e meraviglie naturali, viviamo. Non sono un sognatore, non sono una persona che tralasci le piccole cose della quotidianità. Nossignore, io sono realista e so che bisogna che ognuno di noi inizi ad intervenire nel suo piccolo.” Questi, per quanto possano sembrare prolissi e fuori luogo in montagna, sono alcuni dei temi di cui ed il maestro e fratello Alba abbiamo parlato e di cui parliamo da tempo. Temete consumisti, temete prolificatori di malcostumi, temete perché adesso il mondo lo cambiamo partendo dal basso, da noi. E la forza del popolo è incontrastabile – se non fosse che prima va risvegliato, il popolo –. 

Ei fu, siccome ghiacciaio, dato il mortal inquinamento [...]
 
Finita la digressione ambientalista, ritorno a me ed ai miei fratelli Adamello ed Alba. Il ghiacciaio s’è ritirato al punto che la salita al bivacco presenta pendenze ed un dislivello prima non così marcati. La traccia passa attraverso detriti mastodontici ed una manciata di crepacci. Decidiamo così di aggirare quel campo minato allungando un poco il tragitto e creando una nuova traccia. Chiamiamola “via dei Fratelli”, nome che sicuramente riutilizzerò in futuro. Finito il macero di neve, scuro e sporco, c’è una facile arrampicata tra roccette che ci porta al bivacco Ugolino Ugolini Ugolina Ugolinu Ugoline.
Facciamo conoscenza con straniero1, 2 e 3: sono israeliani e vengono in pace. Non sono rabbini, non sono usurai e non sono ebrei anti-palestinesi. Sono semplici ragazzi. Non hanno un piano ben chiaro e pensano di vagare per i bivacchi del pian di neve per un paio di giorni ancora prima di ridiscendere in Valle Camuna. Io mi accingo a fare la prima cena con pane, stracchino camuno e salsa di melanzane ed aglio (ore 16:00) mentre Alba si scopre anche lui PR di bassa lega iniziando a parlare inglese coi 3 ragazzi e spiegando dove possono andare a parare l’indomani e pavoneggiandosi con la sua cartina Tabacco Adamello-Presanella 1:25.000. 

Ugolini ed ex ghiacciaio Pian di Neve

Panoramica da quasi all'Ugolini

Ugolini, latta di colore arancione. Alba, carne di color multiplo


Mio fratello l’Adamello è lì di fronte a noi, sebbene le nuvole d’alta quota ne impediscano la vista in più momenti. Che dire, l’emozione si respira nell’aria. E mentre inalo sentimenti provenienti dalla montagna, Isabella, Angelo e Paolo fanno la loro comparsa. Di ignoto1, ignoto2, ignoto3 ed ignoto4 invece non v’è traccia alcuna. Hanno ufficialmente abbandonato. C’è fin da subito feeling con gli amici di Malegno e Iseo. Seguono chiacchere e risate di buon gusto. Io non mollo il mio pane con stracchino camuno e salsa di melanzane ed aglio. Proprio quest’ultimo ingrediente diviene ben presto oggetto di dibattito: Andrea ci lascerà dormire o la sua fiatella si andrà ad aggiungere alla già rarefatta aria sterminando una famiglia, un gruppo di israeliani intellettuali, un pacifico glaciologo ed il suo amico Alba?

La nostra Reggia Ugolini. La SPA è dietro, da qui non si scorge.

 
Tutti gli ospiti dell'Ugolini. La SPA rimane ancora nascosta, ma c'è!


Alle 19:00 iniziano ad udirsi tuoni in lontananza. Il cielo è completamente coperto da nubi che non sembrano di passaggio. In capo ad un’ora, inizia prima a piovere, poi a grandinare con saette e tuoni flagranti. Infine un temporale si mette a stamburare, a suo ritmo e piacimento, sulla latta che ci protegge dall’esterno. Siamo tutti e otto dentro la latta e speriamo che un fulmine non la colpisca od un intervento alla coclea potrebbe rivelarsi necessario. Io avevo scelto, pensando fosse una scelta azzeccata ed interessante, il letto di mezzo che dà sulle finestrelle. Infatti, mentre io, Alba, Angelo, Isabella e Paolo giochiamo a scala quaranta – le cazzate e le battute abbondano sulle bocche di tutti – non permettendo ai 3 bravi ragazzi di riposare e leggere, ho aperto diverse volte la finestrella sul nero pesto.  E qui una delle visioni più belle della mia vita. Saette a ripetizione illuminano d’immenso il Pian di Neve per qualche frazione di secondo. Sospiro. Dopo circa un’ora, la bufera cessa ed io mi accingo ad un’orinata notturna, buia e d’alta quota fuori dalla latta. A sinistra il Pian di Neve, dietro mio fratello l’Adamello ed alla mia destra il vuoto della parete di Cima Laghetto. Buonanotte, è ora di andare a dormire.

Arrivano le nubi, mio fratello si nasconde dietro il cappello.


La vista 5 stelle Michelin del Corno Miller dalla mia branda. Volevo dire: dal mio letto King size

Alba naviga senza trovare niente, cercando sempre l'infinito.

Stendipanni improvvisati d'alta quota

Fuori temporale, dentro bische clandestine e pasta italo-israeliana

Dormire? Un sogno! La scelta di stare vicino alle finestrelle si è rivelata essere non troppo azzeccata a causa degli spifferi – usiamo questo eufemismo – che han reso la mia nottata una ulteriore punizione divina. Mi addormento, finalmente, e mi risveglio convinto sia l’ora di prendere lo zaino e partire. Purtroppo l’orologio segna le 23:40! Accidenti, accidentaccio: ora che faccio? Quando finalmente sento la sveglia di Alba, l’incubo è finito e riprende il sogno Adamello. La sera precedente avevamo deciso di concerto con gli amici camuni e sebini di salire in vetta assieme, e così è stato. Alle 05:00 sono fuori dalla latta a scattare qualche fotografia notturna, colazione e partenza con le frontaline. 

Apollo sta arrivando col carro carico carico di..Sole.

Ormai in cima: sulla sinistra Corno Miller ed al centro il biwacco


Alba si mette in testa a tirare il gruppo ma ben presto si accorge, da vero amico e fratello, che io scalpito e che il mio passo acquisisce sicurezza metro dopo metro. Mi lascia passare e mi permette così di affrontare la salita solitario e spirituale. Gli ultimi 50 metri di dislivello li faccio col fiatone per il groppo in gola. L’emozione fa da padrona. Non mi vergogno nel gioire per così poco. Sono in vetta, ed il groppo in gola si tramuta in un boato interiore che non riesce a manifestarsi all’esterno se non con un sorriso come mai ho avuto nella vita. Sono in vetta. Sono in vetta a mio fratello, il mio amato Adamello. E dietro sopraggiunge Alba. Un sorriso, un cenno d’intesa e le mani che si stringono. Ce l’abbiamo fatta. Non di certo la nord dell’Eiger in invernale, ma a chi importa? Un capitolo della nostra vita che si chiude e ne apre altri che ancora dobbiamo scrivere. Un altro obiettivo raggiunto in questi due anni di grandi fatiche, sacrifici e soprattutto di enormi soddisfazioni personali. Un passo che può aprire un altro mondo.

Compagni in arrivo in vetta


Il cuore mi ha portato qui sopra. 

Il panorama è capace di togliere il fiato. Il sole ci dice “Buongiorno!” e calorosamente inizia a scaldarci. Fotografie di rito. Ammiriamo le creazioni uniche della natura. Seguiamo con lo sguardo l’ascesa del sole. Io da bravo sedicente esperto geologo penso ai momenti in cui tutto questo si è formato. Che forza deve esser stato. Esploriamo con lo sguardo tutte le cime del Pian di Neve. Isabella ci aiuta con la sua approfondita conoscenza dell’ambiente in cui ci troviamo. Salutiamo mio fratello ed iniziamo a scendere verso il bivacco per raccogliere i nostri averi e tornare verso valle.


Il buongiorno si vede dalla cima

Io ed i miei due fratelli

Quadro impressionista raffigurante parte del Pian di neve


Io ed Alba, ed il Pian di neve come sfondo più Carè alto
Multietnicità in vetta.


Qui anche con Alba

Lui deve sempre arrivare più in alto

Ma se non ci fosse chi documenta . . .
 

Un crepitio, poi uno schianto ed il boato. Segue un fruscio prima leggero ed a ritmo costante e poi con colpi convinti e più intervallati. Due metri dietro di me, si è staccato un masso dalla parete rocciosa. Si spacca in due macro-parti e tanti altri micro-detriti. Una delle macro-parti scivola dolcemente a valle mentre l’altra viene scagliata violentemente verso il Pian di Neve. Non faccio in tempo a realizzare cosa è successo che il masso è 150-200 metri più a valle incastrato dentro un crepaccio. Vedo lo sguardo perso del ragazzo israeliano davanti a me. In viso è pallido e mi guarda con l’ansia espressiva di chi vuole sapere qualcosa. Mi alzo, dolorante, e verifico di non avere niente di rotto. Il masso mi ha sfiorato, strappandomi i pantaloni all’altezza della coscia sinistra. Non sembro avere nulla di rotto, ma faccio fatica a camminare. Il braccio sinistro duole enormemente. Mi accascio su una roccia e aspetto che Alba e gli altri sbuchino da dietro una grossa guglia e che mi vedano. Hanno visto la frana dall’alto, ma non hanno visto me sotto la frana. Quando spiego l’accaduto ad Alba, anche lui perde qualche anno di vita. Pare che non ci sia nulla di rotto e così ricomincio lentamente la discesa. “Now you just have 8” mi dice l’israeliano. “8 what?” rispondo io. “8 lifes, friend. The 9th is gone!”. Io ero convinto che le vite fossero sette, e quindi sento di averci comunque guadagnato!

Paolo tra i detriti ed una cordata, in lontananza, che giunge dalle Lobbie o dal Garibaldi

Inizialmente, a causa del male, pensavo di fermarmi e di chiamare i soccorsi. Poi ho stretto i denti ed ho capito che ce l’avrei fatta senza allarmare nessuno. Botte, grosse botte ma solo botte sul quadricipite femorale e sulla parte interna del braccio. Per questo, non ho detto nulla ad Alba ne’ agli altri compagni. La discesa è stata un calvario silenzioso. Si dica che ho attinto le ultime forze, soprattutto quelle mentali, dalle tagliatelle di farina di castagne ai funghi porcini che Paolo aveva promesso ci stessero aspettando alla Malga Premassone.
Passiamo le scale del Miller con non poche imprecazioni. E non appena giungiamo al primo tratto di torrente balneabile, al secolo Torrente Romulo, via i vestiti. Rinvigorimento generale ed in capo a 20 minuti siamo seduti, fuori orario pranzo (si ringraziano gli amici della Malga/Rifugio Premassone per la gentilezza), a mangiare ottime tagliatelle di farina di castagne ai funghi porcini ed a bere una freschissima birra per dare tregua all’arsura accumulata.

Autoscatto di Isabella, coi reduci di guerra sulla Terzulli in discesa

Arriviamo ai saluti con gli amici Angelo, Isabella e Paolo e ci si augura di farne un’altra assieme prima o poi.


Ce l’abbiamo fatta. Il cuore ci ha portati lassù.