lunedì 10 luglio 2017

Dove tutto ebbe inizio (Bocchette alte e centrali)



Il Cornone del Blumone ha lasciato i suoi segni su di me, come un coyote che abbia egoisticamente marcato il territorio e lo voglia preservare da visite altrui.
La carne viva e pulsante poco sotto il tendine d’Achille, risultato di una vescica che da una settimana è divenuta la 21esima regione italiana, assieme ad un affaticamento delle gambe senza precedenti hanno vagliato l’ipotesi più che realistica che la gita alle Bocchette Alte sarebbe stato un suicidio. O perlomeno, un tripudio di sadismo fine a sé stesso. Tuttavia, quando si tratta di andare a trovare Gaia, Andrea non se la sente mai di cedere al dolore né a niente altro. Non allo spazio e non al tempo. Andrea non se la sentirebbe di non avere forze e testa là dove l’amore sbocciò anni addietro. Giunto a destinazione, dove le porte della casa del mio maestro ed amico alpinista Alba mi aspettavano aperte e calorosamente accoglienti, ecco che ho un doppio colpo di fortuna. Nel sacchetto che la gente normale chiama beauty-case e che io chiamo “Sacchettino da viaggio dove ci metto le cose come spazzolino, dentifricio e medicine”, trovo un cerotto da vesciche extra-large. Che fortuna, proprio quello che mi ci voleva. In aggiunta, il maestro mi parla di un unguento cicatrizzante e risolutivo per tagli, fresature della pelle, escoriazioni di ogni genere insomma, che lui stesso ha ricavato dalla sua arnia e che ha fatto con le sue mani. Mi applico l’unguento prima di cena ed in capo ad una mezz’ora già smette di pulsare. Per cena: zuppa povera di orzo fatta in casa con orzo coltivato nell’orto che si vede mentre s’è seduti a tavola. Due piatti pieni per me, in modo da essere sicuro di avere abbastanza energie la mattina.

Sveglia piazzata alle 3:30, alle 3:15 io ed il Maestro ci aggiriamo già per casa in preda ad esaltazioni da liceali quando arriva l’ultimo giorno di skuola. Quest’anno infatti, per festeggiare la ricorrenza di un amore sbocciato in maniera inaspettata, io ed il Maestro pensiamo di aggiungere le Bocchette Centrali a quelle alte. Un poco utopistico come progetto, data la nostra condizione fisica da pensionati prematuri. Gioventù bruciata. La risolviamo così, convenendo ad un comune accordo: “Vediamo dopo come siamo messi!”.
Mi riapplico una ditata abbondante di cera di propoli e pure il cerotto salva-gita. Decido di partire con le scarpe da trail running invece che con i vecchi scarponi ramponabili, che nel caso di ghiaccio o situazioni perigliose avrei tirato fuori dallo zaino ed avrei indossato. Come dei veri svizzeri alle ore 04:30, in un buio notturno che ormai iniziava a profumare di giorno, attacchiamo il sentiero di avvicinamento che ci condurrà al Tuckett e da lì alla bocca del Tuckett. Come dei veri sfulmini, alle ore 06:00 cantiamo il chicchiricchì del buon risveglio agli ospiti del rifugio che, data l’ora, non vede ancora anima viva nei dintorni.


Brentalalba, ormai finito l'avvicinamento

Rifugio Tuckett, e prime luci sulle vette


Alle nostre spalle, sornione, svetta il gruppo montuoso di mio fratello l’Adamello con in prima linea la Presanella, assieme alla sua vedretta, ed il Carè Alto.


Mio fratello l'Adamello, Presanella e Carè Alto
 
Le chiacchere da vecchie zitelle dell’avvicinamento mi fanno dimenticare il dolore alle gambe, che però purtroppo inizia a manifestarsi sulle rampe detritiche a metà tra il rifugio e la bocca del Tuckett. Giunti su un pianoro massoso, e poco prima che inizi la calata alla bocca, ci fermiamo per imbragarci, bere e mangiare una leccornia firmata Formis: pane all’uvetta. La calata per le scalette ed i gradoni sedimentari di pietra dolomia avviene gravosa, dovuta alla spossatezza che ha preso il controllo del mio corpo. Inizio a tacere ed a stringere i denti mentre il maestro prende qualche decina di metri di vantaggio e conoscendomi, mi lascia andare per la mia strada ed al mio passo. Pochi minuti dopo le 07 siamo all’attacco delle Bocchette Alte.

Il maestro è già all'attacco, io maschero la stanchezza scattando fotografie


Ecco che la roccia torna a salire, e tra alcuni canaletti ed altri gradoni, recuperando lemme lemme le forze evaporate poco prima, percorriamo il versante est di Cima Brenta, vera e propria cengia e scolliniamo al cospetto di Cima Vallesinella. 

Maestose cime del Brenta, rimasugli di bianco inverno

ACHTUNG!

Come arrivare veloce ed a mo' di puzzle a valle


Ci si diletta qualche istante ad immaginare cosa succederebbe se precipitassimo dalle strapiombanti pareti su cui stiamo appollaiati. “Un bagno nel sottostante lago di Molveno” ci diciamo ridendo. 


Tentativo di volo numero 1

Molvenosee, tra strapiombi e formazioni cumuliformi longilinee

Tentativo di volo 2: anche io ci provo, a mio modo


Non c’è ancora traccia di altri esseri umani. “E’ davvero presto!” pensiamo tra noi e noi. Ci piace evitare la folla in montagna, ecco perché.
Passata la famosa scala dei 30 metri e la ventosa, sottile Bocchetta alta dei Massodi, e lasciata Cima Brenta alla nostra destra, iniziamo la discesa verso la valle dove si trova il Rifugio Alimonta. 

La scaletta di Giacomino e del fagiolo magico

Stabilità ed equilibrio

The Beatle(s) alla bocca de' Massodi



Sono le ore 10:00 ed abbiamo concluso le bocchette Alte. Nessuna gara con noi stessi, nessuna smania di sembrare fenomeni. Semplicemente il sangue in circolo e l’emozione di respirare il vento che spira tra le cime dolomitiche, ammirare l’arte stratificata e le forme squadrate ma dolci dei pinnacoli, udire il suono del nulla e dell’acqua che scorre imprescindibile dalla volontà dell’uomo. Il maestro non dà segni di cedimento – potrebbe mai darne? – ed io ho riacquistato le forze. Quale decisione più ovvia che dare adito alle nostre ambizioni iniziali?

Fenicottero rosa d'alta quota


Dopo esserci rifocillati con pizza, pane e cioccolato ed una barretta energetica svizzera pastosa al punto da aderire alle pareti dell’esofago e da diminuirne la portata di eventuali flussi fluidodinamici futuri, ci fiondiamo in discesa in direzione attacco delle bocchette centrali. Decidiamo, più o meno volontariamente, di abbandonare la traccia che porta a valle e tagliare per la costa in modo da tagliare ed impiegarci meno. Scelta azzardata, in quanto ci ritroviamo ad attraversare orizzontalmente una costa infinitamente detritica e con la sorpresa del Permafrost sotto i nostri piedi. Dopo aver appoggiato più di una volta il culo a terra ed essersi grattugiati il ginocchio, attacchiamo il canale ghiacciato che ci porta alla Bocca degli Armi. 

Orsi delle nevi, diressiòn Bocca degli Armi ed attacco bocchette centrali


Alle 11:00 iniziamo questa parte del Brenta a me inedita.
Gaia continua a sorprendermi metro dopo metro, vista dopo vista. Per fortuna che sono nato e che sono qui. Per fortuna che ho occhi per vedere, orecchie per udire, cuore per assaporare la meraviglia che Gaia è.
Cenge da fare a carponi, su e giù dove è possibile fermarsi in sicurezza a contemplare l’unicità di queste montagne amiche, due pazzi germanofoni con drone e monociclo dalla ruota grassa che si presta ad acrobazie NON in sicurezza a 3000m di altezza, segnavia persi e ritrovati.


Germanici sotto effetto di LSD

Il maestro, in totale sicurezza, si accinge (?) sulla larga cengia


E poco prima di una curva dall’aspetta innocuo, il maestro si ferma con aria teatralmente crucciata e mi dice “è qui dietro, sei pronto?”. La pelle mi si fa d’oca, il cuore vuole uscire dal petto e vedere anche lui e le gambe tremano lievemente con fare timido. Attacco le mani alla roccia e lentamente sporgo il capo al di là dell’angolo: ‘l Campanil Bass. Maestoso, solitario, prominente, ripido, un sogno, un progetto, un fatale scontro con la realtà che mi lascia però incolume, un’ambizione senza collocazione spaziotemporale, spasmo muscolare, concentrazione e determinazione mentale, tempo per realizzarlo cercasi. Campanile Basso, finalmente ti ho a tiro. Ti rispetto, penso assorto in me stesso, ma ti dovrò conquistare.

Eccola, sua Majestà 'l Campanil Basss


Da qui segue la discesa, e le nostre gambe non si accorgono più della fatica. Siamo troppo occupati a fantasticare, a fare calcoli altimetrici, a cercare la via da percorrere, ad ammirare gli scalatori che la stanno percorrendo con il binocolo, a fare i conti con la realtà, a programmare il percorso che porterà me ed il maestro là dove or ora vorremmo già essere.

Ci credo che sia patrimonio dellu Nesco


Ci ritroviamo ad un bivio: a sinistra si risale un'altra gola innevata, a destra si discende dolcemente verso il Rifugio Brentei. A sinistra, una volta raggiunto il Rifugio Pedrotti, inizia la ferrata che corrisponde ad un periplo della Cima Tosa della durata di altre 3 ore – secondo i nostri calcoli spannometrici –. Il tempo è buono seppur in peggioramento, sono le 12:30 e quindi è presto e di tempo ne avremmo: “Perché no?” pensiamo. “Perché no!” ci rispondiamo di comune accordo.
Con estrema soddisfazione e col cuore ancora in subbuglio, scendiamo prima al Brentei e poi al Casinei, per quella che io chiamo “una valle di lacrime”.
A valle, al riparto dal caldo e dal sole, immergiamo le gambe in un torrente dalle fresche e chiare acque. Con la pratica “Bocchette Alte + Centrali” in fase di chiusura, ma non ancora chiusa, e di felice archiviazione nella libreria personale di Andrea, si inizia a pensare alle prossime.

Dove tutto ebbe inizio.

 

Nessun commento:

Posta un commento