"Il Confinale può aspettale".
Così avrebbe detto una mia amica cinese, dopo aver
visto le previsioni meteo per la notte tra il sabato e la domenica.
Di concerto con il gruppetto in partenza dalla
bassa bresciana d’elìte e con il maestro Alba, si ripiega sulla Val Rendena. Sconfinati
in Trentino, dove si slancian nel cielo le guglie dentate e dove discendono
dolci le verdi vallate, il nostro obiettivo diviene il Carè Alto.
Alle ore 08:00 il gruppo, di provenienza
eterogenea, si ricompone in Pian della Sega. Ivi, nella Val Borzago, profumano
paschi, e con soave olezzo di vividi fior e dopo un celere “rivedi-piano” si
parte con ritmo asfissiante.
Per evitare di mietere vittime, e perché s’è deciso
di prendersela con calma, il ritmo cala e le soste aumentano. La prima sosta
avviene presso una cascatella che scorgiamo tra le fratte. Fra le fratte. Fra
fra fra, tra fra tra.
I vividi fior della verde valle |
La cascatella che ha attirato anima e corpo del gruppo |
Tempo fuligginoso e livido |
Flora et Fauna |
Flora, violacei fiori alpini trentini |
Il caldo è asfissiante per essere in alta montagna.
Il Phon ha sconfitto la Tramontana. Folate di aria calda complicano la nostra
ascesa per il sentiero costituito prevalentemente di gradoni naturali di radici
e rocce. Una libidine per i quadricipiti femorali, un toccasana per il fiato
assente.
In un battibaleno e dopo diverse chiacchere
filosofico-scientifiche, ci ritroviamo su d’un belvedere: una terrazza da cui
si possono vedere da una parte la verde e lussureggiante vallata e dall’altra
una conca detritica d’origine morenica in cui scorre, fragoroso, il torrente
che dà origine alla serie di cascate che conducono a valle.
Da qui c’è l’ultima rampa che in meno di un’ora,
con rocce ripide e con legni d’assistenza per non scivolare, conducono al
Rifugio Carè Alto. Qui una chiesetta “ai russi”- così ci viene raccontato – s’affaccia
sulla conca detritica poco prima ammirata. Si narra che durante la guerra, i
nemici austro-ungarici avessero sfruttato la forza della manovalanza russa per
costruire la rete di sentieri e di teleferiche per la costruzione di forti
strategici per fini bellici. Dopo la chiesetta, la nebbia lascia che sia la mia
immaginazione a costruire lo sfondo. Qui un gruppo d’alpinisti, quelli veri, è
appena tornato dopo aver tentato l’ascesa alla vetta, rimandata a causa della
scarsissima visibilità. Qui un gruppo di trentini un poco su d’età che, assieme
al rifugista, apre e gusta un fiasco di vino trentino. Qui un ragazzo sui 35
anni che ci ha superato poco prima di raggiungere il rifugio e che ci ha detto
di aver lasciato indietro la moglie. La moglie – si dica qui per inciso – ha fatto
la sua comparsa al rifugio quando noi, dopo un’ora abbondante di sosta, abbiamo
ripreso la marcia. Qui un cane di incerta razza e dall’astuta intelligenza, ci
porge il bastone ed aspetta il lancio con assetto tattico. Qui una coppia di
Brescia con cui ci siamo passati sorpassati e risorpassati una decina di volte durante
la salita, a mo’ di Grand Prix di Laguna Seca, e con cui ormai abbiamo
instaurato un rapporto di montagnina amicizia. Qui il nostro gruppo s’è
rifocillato a dovere con birra, sesamini, formaggio di malga trentina del mio
amico e fratello trentino Alba, caffè corretti e succhi ai mirtilli trentini.
Qui consultazioni cartografiche, in seguito alle quali decidiamo di optare per
un ritorno alternativo.
Chiesetta "ai russi" ed alle loro fatiche. Sfondo: Caraibi |
Prendiamo un sentiero suggestivo, roccioso, che ci
farà tornare all’auto seguendo un traccia – a volte arrangiato – sull’altro
versante della valle. E’ un piacevole susseguirsi di su e giù tra detriti, e
guadi di torrenti che provengono direttamente da una porzione di vedretta
laterale del Pian di neve. Il cielo è costantemente fuligginoso ma con fugaci
concessioni di blu e viste sulle cime circostanti.
Un tonante rombo ci preavvisa la presenza di un
torrente nelle vicinanze. Eccolo! Impossibile guadarlo a causa della velocità e
della forza con cui le acque scorrono. Niente paura, c’è un “ponte” costituito
da una fune d’acciaio superiore ed una inferiore che ci permette di passare
dall’altra parte. Poco dopo un altro guado. Questo è meno potente del
precedente, e non ci sono ponte a favorirne il passaggio. Via le scarpe, via per
le acque gelide.
Passaggio alpinistico grado MILLEMILA sul torrente tumultoso |
Momenti di rinfrescante e rinfrancante freschezza |
Da qui e per un’ora abbondante non c’è traccia di
pendenze negative. Si rimane in quota fino al passo Altar. Il morale per la lunghezza
del percorsa porta alcuni compagni ad uno stato di quiescenza. Niente paura, al
passo Altar vediamo la discesa, segnalata con sporadici paletti biancorossi di
recente fattura. Al passo, c’è testimonianza dell’ingegneria austroungarica con
un sistema di teleferiche in modo da connettere le due valle confinanti e
delimitate dal passo stesso – chissà come si chiama la valle al di là del passo
– e con il fondovalle
La bella valle di cui non so il nome dal Passo Altar |
Passo Altar. Rimasugli di un passato austroungarico. Teleferica |
Rumori di marmotte, discorsi sulla matematica e sui
moderni metodi d’insegnamento, avvistamenti fasulli di orsi (presenti in
abbondanza nella zona!). La discesa è ripida ed erbosa, mi ritrovo diverse
volte con deretano che accarezza la terra. Finalmente ci ricongiungiamo al
pezzetto iniziale del sentiero e lì cerchiamo un posto dove immergere polpacci,
quadricipiti femorali. Ecco che in prossimità di un nuovo ponte che connette il
sentiero bosco della riva opposta, troviamo una pozza di acqua corrente. Via i
vestiti, dentro il torrente. Un freddo piacere.
No ai vestiti: si a Valsoya |
E con il morale ed il corpo rinvigoriti, ritorniamo
alle auto e poi sulla provinciale che connette Tione a Pinzolo per una
meritata, fresca, osannata, desiderata, sudata birra. Un grazie a Giovanna per
averci serviti da vera locandiera. Ed un grazie al simpatico bevitore solitario
a cui ho ordinato da bere pensando fosse l’oste e che a sua volta ha ordinato a
me un “gòt” convinto che fossi il l’oste.
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