venerdì 11 agosto 2017

Carè Alto: un omaggio al Trentino



"Il Confinale può aspettale".
Così avrebbe detto una mia amica cinese, dopo aver visto le previsioni meteo per la notte tra il sabato e la domenica.
Di concerto con il gruppetto in partenza dalla bassa bresciana d’elìte e con il maestro Alba, si ripiega sulla Val Rendena. Sconfinati in Trentino, dove si slancian nel cielo le guglie dentate e dove discendono dolci le verdi vallate, il nostro obiettivo diviene il Carè Alto.
Alle ore 08:00 il gruppo, di provenienza eterogenea, si ricompone in Pian della Sega. Ivi, nella Val Borzago, profumano paschi, e con soave olezzo di vividi fior e dopo un celere “rivedi-piano” si parte con ritmo asfissiante.
Per evitare di mietere vittime, e perché s’è deciso di prendersela con calma, il ritmo cala e le soste aumentano. La prima sosta avviene presso una cascatella che scorgiamo tra le fratte. Fra le fratte. Fra fra fra, tra fra tra.

I vividi fior della verde valle

La cascatella che ha attirato anima e corpo del gruppo


Tempo fuligginoso e livido



Flora et Fauna

Flora, violacei fiori alpini trentini


Il caldo è asfissiante per essere in alta montagna. Il Phon ha sconfitto la Tramontana. Folate di aria calda complicano la nostra ascesa per il sentiero costituito prevalentemente di gradoni naturali di radici e rocce. Una libidine per i quadricipiti femorali, un toccasana per il fiato assente.
In un battibaleno e dopo diverse chiacchere filosofico-scientifiche, ci ritroviamo su d’un belvedere: una terrazza da cui si possono vedere da una parte la verde e lussureggiante vallata e dall’altra una conca detritica d’origine morenica in cui scorre, fragoroso, il torrente che dà origine alla serie di cascate che conducono a valle. 

Da qui c’è l’ultima rampa che in meno di un’ora, con rocce ripide e con legni d’assistenza per non scivolare, conducono al Rifugio Carè Alto. Qui una chiesetta “ai russi”- così ci viene raccontato – s’affaccia sulla conca detritica poco prima ammirata. Si narra che durante la guerra, i nemici austro-ungarici avessero sfruttato la forza della manovalanza russa per costruire la rete di sentieri e di teleferiche per la costruzione di forti strategici per fini bellici. Dopo la chiesetta, la nebbia lascia che sia la mia immaginazione a costruire lo sfondo. Qui un gruppo d’alpinisti, quelli veri, è appena tornato dopo aver tentato l’ascesa alla vetta, rimandata a causa della scarsissima visibilità. Qui un gruppo di trentini un poco su d’età che, assieme al rifugista, apre e gusta un fiasco di vino trentino. Qui un ragazzo sui 35 anni che ci ha superato poco prima di raggiungere il rifugio e che ci ha detto di aver lasciato indietro la moglie. La moglie – si dica qui per inciso – ha fatto la sua comparsa al rifugio quando noi, dopo un’ora abbondante di sosta, abbiamo ripreso la marcia. Qui un cane di incerta razza e dall’astuta intelligenza, ci porge il bastone ed aspetta il lancio con assetto tattico. Qui una coppia di Brescia con cui ci siamo passati sorpassati e risorpassati una decina di volte durante la salita, a mo’ di Grand Prix di Laguna Seca, e con cui ormai abbiamo instaurato un rapporto di montagnina amicizia. Qui il nostro gruppo s’è rifocillato a dovere con birra, sesamini, formaggio di malga trentina del mio amico e fratello trentino Alba, caffè corretti e succhi ai mirtilli trentini. Qui consultazioni cartografiche, in seguito alle quali decidiamo di optare per un ritorno alternativo.

Chiesetta "ai russi" ed alle loro fatiche. Sfondo: Caraibi


Prendiamo un sentiero suggestivo, roccioso, che ci farà tornare all’auto seguendo un traccia – a volte arrangiato – sull’altro versante della valle. E’ un piacevole susseguirsi di su e giù tra detriti, e guadi di torrenti che provengono direttamente da una porzione di vedretta laterale del Pian di neve. Il cielo è costantemente fuligginoso ma con fugaci concessioni di blu e viste sulle cime circostanti.

 
Sprazzi di blue e cime circostanti


 
Un tonante rombo ci preavvisa la presenza di un torrente nelle vicinanze. Eccolo! Impossibile guadarlo a causa della velocità e della forza con cui le acque scorrono. Niente paura, c’è un “ponte” costituito da una fune d’acciaio superiore ed una inferiore che ci permette di passare dall’altra parte. Poco dopo un altro guado. Questo è meno potente del precedente, e non ci sono ponte a favorirne il passaggio. Via le scarpe, via per le acque gelide.

Passaggio alpinistico grado MILLEMILA sul torrente tumultoso

Momenti di rinfrescante e rinfrancante freschezza


Da qui e per un’ora abbondante non c’è traccia di pendenze negative. Si rimane in quota fino al passo Altar. Il morale per la lunghezza del percorsa porta alcuni compagni ad uno stato di quiescenza. Niente paura, al passo Altar vediamo la discesa, segnalata con sporadici paletti biancorossi di recente fattura. Al passo, c’è testimonianza dell’ingegneria austroungarica con un sistema di teleferiche in modo da connettere le due valle confinanti e delimitate dal passo stesso – chissà come si chiama la valle al di là del passo – e con il fondovalle

La bella valle di cui non so il nome dal Passo Altar

Passo Altar. Rimasugli di un passato austroungarico. Teleferica


Rumori di marmotte, discorsi sulla matematica e sui moderni metodi d’insegnamento, avvistamenti fasulli di orsi (presenti in abbondanza nella zona!). La discesa è ripida ed erbosa, mi ritrovo diverse volte con deretano che accarezza la terra. Finalmente ci ricongiungiamo al pezzetto iniziale del sentiero e lì cerchiamo un posto dove immergere polpacci, quadricipiti femorali. Ecco che in prossimità di un nuovo ponte che connette il sentiero bosco della riva opposta, troviamo una pozza di acqua corrente. Via i vestiti, dentro il torrente. Un freddo piacere.


No ai vestiti: si a Valsoya


E con il morale ed il corpo rinvigoriti, ritorniamo alle auto e poi sulla provinciale che connette Tione a Pinzolo per una meritata, fresca, osannata, desiderata, sudata birra. Un grazie a Giovanna per averci serviti da vera locandiera. Ed un grazie al simpatico bevitore solitario a cui ho ordinato da bere pensando fosse l’oste e che a sua volta ha ordinato a me un “gòt” convinto che fossi il l’oste.

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