venerdì 19 gennaio 2018

Da Madrid a Brescia in bicicletta: Andrea così la racconta



Gli interminabili su e giù della Meseta, tra Madrid e Lleida:

La Spagna presenta un grosso altopiano di origine arenosa, su cui sorge anche Madrid, posto tra l'Extremadura ad ovest, la Sierra Morena a sud, la Cordillera Cantabrica a nord e si estende fino alla Catalunya, dove iniziano i maestosi Pirenei. Viene chiamata Meseta. La principale caratteristica dei terreni sabbiosi è quella di essere particolarmente inclini alla sedimentazione ondulata. Formano dei continui su e giù, voglio dire. E quei continui su è giù, tra i 30 ed i 200 metri di dislivello positivo ognuno, sono stati lo scoglio da affrontare nella prima parte del viaggio.

Plonti, paltenza e via.
Giorno 1
Parto molto presto da Madrid, alle 06:00 circa, di modo da attraversarla senza traffico e per avere più ore pedalabili ed avvicinarmi il prima possibile ai Pirenei. Perché? Perché davano un forte ciclone in arrivo dall'Atlantico, il quale avrebbe colpito i Pirenei proprio durante il mio passaggio. Volevo esser io a dare il benvenuto al maltempo e non il contrario.
La prima parte del tracciato, più o meno studiata su www.ciclistiamo.it e su Open Street Map (OSM), è insidiosa a causa del traffico e per le tante strade secondarie e carrarecce costeggianti la superstrada che hanno improvvise deviazioni. In breve: dovevo stare attento a non perdermi. Il sole splende, il freddo che caratterizza le mattine della Meseta incalza ma non crea alcun disagio alla mia marcia. In poco raggiunsi, con qualche su e giù, Guadalajara che per me rappresenta le Colonne d'Ercole verso est. Da lì, tutto è sconosciuto. La mattina m'incontrai ringalluzzito dall'emozione per quello che stavo per fare. Anzi, che dico, per quello che stavo facendo. Canticchiai cavalcando la mia Pynta (il nome della mia bicicletta), il sole splendeva ancora sebbene da nord-ovest iniziai a veder sopraggiungere le nuvole.

Io, nell'impresa di risultare simpatico e contento durante un autoscatto in movimento


Dopo un pranzo veloce, ripartii alla volta di Alcolea de Pinar, sito a circa 1200mslm e punto più alto del percorso fino ai Pirenei. Arrivai ad Alcolea de Pinar al calar del sole ma decisi di proseguire in modo da macinare più km possibili nei primi due giorni. Sebbene avessi programmato di metterci tre giorni per arrivare all'attacco dei Pirenei, presso Lleida/Balaguer, nei giorni precedenti la partenza decisi di provarci in due giorni. Quando ormai non ci si vedeva più, proseguii un'altra quarantina di km ed arrivai presso la Laguna de Gallocanta e da lì a Monreal del Campo dove passai la prima notte in un hostal. Sperduto nel nulla, non avevo avuto la fortuna e la possibilità di trovare nessun host tramite www.warmshowers.org, vera rivelazione positiva del viaggio. 

Desolatio, desolationis.


Giorno 2
Anche il giorno 2 cominciò piuttosto presto. Mi addormentai con la convinzione che sarei arrivato sino a Lleida e mi risvegliai ancora più convinto di potercela fare. Dopo la solita abbondante colazione con una baguette tostata e succo-polpa di pomodoro, un filo molto generoso di olio per aumentare la quantità di grassi di buona qualità per avere energie da bruciare, ripartii. 
Purtroppo, la giornata fu molto grigia e piuttosto umida. Notai con poco entusiasmo quanto il meteo sia in grado di influenzare il mio umore. Cielo grigio, umore plumbeo. Più che plumbeo, lo definii gravido di tempesta interiore. Nonostante gli 0-3°C, l'umidità fu tanto pungente e penetrante che soffri freddo alle mani ed ai piedi per tutta la mattinata. Una nebbia pregna di acqua si alzò e si stabilizzò, rendendo la discesa tra Calamocha e Quinto un continuo incontro pugilistico tra gli emisferi destro e sinistro del mio cervello: “All'angolo sinistro, fate un applauso per la Fooorza di Volontà e Sacrificio. All'angolo destro, l'eterno secondo, sempre più guerreggiante . . . tutti in piedi per l'IIIINerzia”.
Iniziò a soffiare un forte vento e, non essendoci ripari o alture nei paraggi, non avevo alcun riparo. Poi iniziò a piovigginare, quando arrivai a Quinto, dove mi fermai per un tardivo pranzo. La nebbia e la pioggerella eran tanto fitte da non riuscire nemmeno a vedere i cartelli stradali. I pochi cartelli stradali, invero, furono motivo di svago e di risate solitarie. Quando vidi Albalate del Arzobispo o Vinaceite, cominciai a giocarci tra me e me, e per alcuni km non mi accorsi di pedalare. Si aggiunsero poi alcune domande di rito, quali “chi me lo ha fatto fare?” o “appena arrivo a casa, se ci arrivo, dato che sui Pirenei rimango sotto la neve oppure il vento mi spazza per benino, inizio a fare una vita sedentaria davanti ai videogiochi. Vero Andrea?".

Nebbiolina, pioggerella e venticello. Trionfo del vezzeggiativo

 
Invero, il breve timore che ho avuto in quel frangente del viaggio è stato vettore di energia inaspettata. A capo chino, indifferente ai paesaggi invisibili celati dietro la coltre di nubi e nebbia – ormai compagne di viaggio -, iniziai a pedalare con andatura regolare e stanca. Mi fermai a cena in un bar col wifi e confermai a Ros il mio arrivo intorno alle 22. Dopo cena mi rimisi in marcia e abbondantemente dopo le 22 arrivai ospite da Ros, nella periferia di Lleida, e nel suo appartamento dove vive con due cani, un marocchino ed un catalano. Il meteo dà per passata la prima parte della perturbazione atlantica, con la seconda in arrivo entro 48h. Dopo qualche parola scambiata con Ros ed il ragazzo marocchino, sistemo la bicicletta ed il carico, il sacco a pelo e mi assopisco su di un largo divano pieno di peli di cane.

Divano con peli di cane e luce soffusa e stufa elettrica abbronzante. Dove dormì Andrea


Benvingut a Catalunya, Pirineu català

Giorno 3
Mi svegliai con tutt'altro umore. Non ho seguito bene l'incontro del giorno precedente, ma ritengo che sul ring la Forza di Volontà abbia vinto per KO tecnico dopo un solo round, a spese di un'Inerzia poco convinta. La piazza di Lleida, alle 07:00 del mattino, segnava -5°C, ancora nuvoloso. Iniziai a respirare aria catalana e non più spagnola. Che fosse migliore o peggiore non era affar mio, ma sicuramente, la differenza era palese.
Presa la strada secondaria in direzione Balaguer, mangiai una quantità di mandorle degna di nota e decisi di fermarmi a far colazione al suddetto paesino. Alle 08:40 avevo già percorso i 35-40km che separano Balaguer da Lleida. Mi fermai vicino alla stazione per prendere un caffè. L'oste mi preparò una tostada con tomate fatta coi fiocchi ed il solito, bruciato, cortado (il nostro caffè macchiato). Il matto, nonché ubriacone, del paese decise di auto-incaricarsi “Guardiano di Pynta”. Si mise a guardarla, con birra in mano, ore 09:00 circa, con tanta tenacia e fermezza che, a saperlo prima, avrei evitato di portare con me il catenaccio! Salutai, non pagai la colazione che mi venne offerta da un signore del posto come segno di riconoscenza per il mio sforzo e come Benvingut, e mi rimisi in marcia.
Ancora, il vento e le nuvole basse dominarono tutto l'arco della mattinata. Il vento contro, in qualsiasi direzione pedalassi, era contro. Pedalai tutta la mattina lungo la spalla della strada regionale C-26 prima e C-14 poi, piuttosto trafficate. Il freddo ed umido vento è piuttosto fastidioso. Notai con sbigottimento come, in poche decine di km da Lleida e la fine della Meseta ad ora, il paesaggio fosse passato da brullo e roccioso/sabbioso a verdeggiante e pieno di coltivazioni, viti e fattorie. Inconfondibile l'odore acre di letame, che mi riporta coi pensieri nella florida e poco inquinata bassa bresciana.

Scorcio su Ponts

In un battito di ciglia, mi ritrovo a Ponts, per il solito pranzo ritardatario delle ore 15:00. Ordino uno sfilatino tanto grande e farcito da far pensare (e non è la prima volta che mi capita) alla cameriera di dover portare due coperti. Sorpresa: son da solo! Riprendo la marcia catalana in direzione Monestir de Santa Maria de Gualter dove mi aspettano per la notte i genitori di Jordi: Maria Dolors e Josep, anche loro fantastici host di Warmshowers.

Uno alla volta, uno alla volta per carità. Sfilatini a volontà


Anche qui è autunno inoltrato.

Il mio primo incontro col Segre


Orgogliosissimi catalani, sono rispettivamente i custodi e la reggente del piccolo comune di 200 anime. Dopo avermi mostrato il Monastero, parzialmente distrutto dalle truppe di Franco (che non è il fruttivendolo del paese, bensì il dittatore Francisco Franco), mi mostrò le tante escursioni possibili nella zona e tutti i maggiori luoghi d'interesse. Mi indicò poi la stanza per la notte, e la doccia calda era lì tutta per me. Approfittai della tappa “breve” (circa 90-100km) per sistemare il carico anteriore che stava inficiando troppo la forcella, un po' troppo leggera per questa tipologia di pedalate. E poi mi prepararono la cena, mangiammo tutti assieme specialità catalane (erano stati avvisati da Jordi, in vacanza in quel momento, che non mangio carne e pesce) in versione vegetariana. Bevvi il vino nelle tradizionali ampolle catalane, io raccontai loro le mie avventure degli ultimi anni e loro quelle del figlio Jordi. 

Cena catalana a base di catalanità e simpatia. Qui con Maria Dolors. Josep alla camera.

Monestir Santa Maria de Gualter

Pynta ed il Monestir
Poi fu la volta della propaganda catalana, a cui seguì una fotografia con bicicletta e bandiera dell'indipendenza. Una bellissima esperienza, conoscendo persone stupende quella che ho vissuto nella piccola frazione di Gualter assieme a Maria Dolors e Josep. 

Si riparte, ma solo dopo la fotografia di rito.


Giorno 4
Finalmente il sole. Eppure davano nevischio! Mi preparai al peggio, mentre il tempo si mostrò clemente. Almeno la mattina presto. Da qui, da Gualter, entrai nei veri Pirenei. Una catena montuosa a mio avviso sottovalutata, poi capiremo assieme i vari motivi.

Sopra Gualer, verso Oliana, ormai addentrato nei Pirenei.


Iniziai la giornata con uno strappo in salita di circa 2km con una media del 10-12%, assoluta rarità lungo tutto il percorso che mi porterà fino in Francia. Infatti, la salita fino al confine è discontinua, lunghissima ma leggera. Pendenza con una media intorno al 3% e continui saliscendi, dove bisogna stare attenti a gestire per le gambe con un carico di quasi 30kg. Finita la breve ed irta salita, lacrimo per la bellezza del paesaggio che mi rivela. Lacrimo anche per il vento gelido (non avevo gli occhiali, figurarsi!). Intravidi la maestosità di alcuni dei picchi più alti dei Pirenei. Rocce in lontananza, e rigogliose abetaie.

Eccoli, li Pirenei!

Pantà del Segre

Il clima qui è più mite di quello a cui siamo abituati noi alpini. Sebbene durante la notte e la mattina alle 08:00 vi possano essere -10°C, poco dopo mezzodì le temperature sfiorano ed a volte superano i +10°C. I Pirenei mi insegnarono a vestirmi a cipolla, e ad avere la pazienza di continue aperture di borse e zaini.
Dov'era finito il brutto tempo di cui si parlava poc'anzi? Io non me ne accorsi, risi perché ero convinto di averla scampata. Eppure era dietro di me, pronto a ruggire. Mi fermai ad Oliana a rifocillarmi. Mangiai un pezzo di torta al cioccolato e mandorle, e nel frattempo contemplavo le rocciose pareti che sono tanto famose in tutto il mondo dell'arrampicata. Avrei voluto aver con me scarpette e magnesite, in modo da emulare il buon Messner: solo ed a mani nude, senza assicurazioni. Invece mi limitai a fantasticare ed a programmare un ritorno in queste zone e continua per la mia strada.

La valle presso Oliana e le famose falesie

Rocce sacre dell'arrampicata

Il Segre presso Oliana, subito dopo il ponte da cui inizia la strada per Andorra.


Qui, da Oliana, iniziano le vere montagne, come le intendiamo noi. Il percorso che ho scelto costeggia il fiume Segre. Poco dopo Oliana, la valle si restringe clamorosamente e fino a La Seu d'Urgell non s'allargherà più. In prossimità del Pantà d'Oliana mi fermai a scattare qualche fotografia al pantano, color blu limpido in realtà, quando notai nel cielo del movimento. Quale meraviglia mi capitò sopra la mia zucca vuota: aquile, sfruttando le correnti ascensionali, si esibivano in danze senza tempo. Rimasi ad ammirarle per qualche decina di minuti. Ne approfittai per mangiare altre mandorle (avevo con me 4 confezioni, circa 800g di mandorle in tutto) ed i fichi secchi. Le continue gallerie, che in bicicletta sono pericolose e non percorribili, mi permisero di prendere un'alternativa esterna, scavata nella roccia in alcuni tratti e quasi a picco sul canyon formato dal Segre.

La strada sul Segre a traffico limitato ad Andrea ed alle aquile


Cielo da neve, a breve sui nostri teleschermi.
 
Pantà d'Oliana 1

Pantà d'Oliana 1bbis

 
Aqvile nel cielo
Una nuvola passeggera dopo Organyà, portò del nevischio per una mezz'ora abbondante e poi di nuovo il sole. La nuvola passò, ma il vento rimase e quando arrivai a El Pla de Sant Tirs, ero come Davide che lottò contro Golia. Una sfida impari sulla carta. Una sfida che mi portò a fermarmi dietro la fermata del bus interurbano per recuperare qualche forza perduta. Una sfida poi vinta da Davide. 

Plan de Sant Tirs. Si vedono le bianche cime d'Andorra


Passato poi a La Seu d'Urgell, dove ho brevemente visitato il paese e la Catedral Santa Maria d'Urgell, ho tirato dritto per il Principato d'Andorra.
Andorra è piena di guidatori maleducati che si credono dei piccoli piloti di Formula1. Mentre devo riconoscere la correttezza ed il rispetto mostratomi dagli automobilisti spagnoli. Sebbene in Catalunya non vi fosse traccia di neve, in Andorra le montagne erano innevate fino ai 1000m sopra il livello del mare. Una valle chiusa in se stessa, formata da circa due o tre valli che formano una grande conca. Nel pomeriggio, proseguì in direzione Puigcerdà dove invece era Montse ad aspettarmi per la notte. Una tappa un po' troppo lunga, forse.
Ero molto affamato e cercai un posto dove mangiare. La verità è che tra La Seu e Puigcerdà, non c'è praticamente nulla. Passai per un paesino chiamato El pont bar. Ora, mi sarei aspettato di trovare almeno un bar in un paese che contiene bar all'interno del proprio nome. Mi ritenni fortunato invece a capire quale fosse il paese: 4 case, una stradina. Tirai dritto fino a Bellver de Cerdanya dove mi fermai in una forneria che rapinai di tutta la pizza avanzata, senza tanti convenevoli.
Imboccata la strada Eje Pirenaico, e costeggiando sulla destra i Tossals d'Isovol i Olopte, mandrie di vacche e greggi di pecore pirenaiche ovunque, iniziai un'altra lotta contro il vento.

Vette bianche e pascoli.


Gli ultimi 10 km controvento mi sfinirono ed arrivai poco prima di cena da Montse, la quale mi propose di andare al suo chalet in montagna, in mezzo alla neve. Io di certo non mi sentii nella condizione di rifiutare, sebbene fossi in apprensione per il giorno a venire. Sistemai la bicicletta nel suo garage, già pronta per il giorno successivo. Mangiammo un'ottima cena preparata da lei ed andammo a dormire. In verità, ero un poco preoccupato perché il giorno successivo davano neve e vento forte, con raffiche fino a 50-60 km/h. L'aria era già di tempesta, come si può ben vedere dalla fotografia. In tal caso, sarebbe stato impossibile pedalare in discesa, aggirando tornanti a picco sul canyon sottostante. Avevo visto che da Borg-Madame, in Francia ma a 1km da Puigcerdà, partivano due trenini al giorno che portavano fino a Villefranche-de-Conflent, dove le previsioni meteo erano già più clementi. Parlo del Train Jaune. Purtroppo, il sito delle ferrovie francesi lo dava come cancellato. Era l'unica alternativa al pedalare. Il mistero s'inasprì.

Cielo livido, preannuncia tempesta di neve.


I dolori del giovane Andrea: il difficile approccio con la Francia e la meravigliosa Camargue

Giorno 5
Decisi di farmi riportare alla bicicletta molto presto, per recarmi alla stazione di Bourg-Madame. La notte nevicò anche se non si accumularono più di 5cm al suolo, a valle nulla, ed il vento era molto forte: circa 25-30 km/h costanti. Arrivai a Bourg-Madame ma della stazione nemmeno l'ombra. Certo, io mi aspettavo una casupola con le indicazioni “stazione”. Mi fermo a chiedere e me la indicano, ovviamente in francese perché i francesi ritengono uno smacco parlare inglese o persino spagnolo, contando che si tratta di un paese di confine! L'architettura completamente diversa a distanza di 200m, la lingua e la cultura. Ci rimasi quasi male.
Stazione di Bourg-Madame: della grandezza di un bagno chimico, la stazione presentava un cartello con scritto “Fermé jusqu'au . . . 23 décembre”. Bruttissima parola quel fermé, e bruttissime sensazioni. Ora ero ad un bivio: fermarmi un giorno e non rischiare, o continuare a pedalare sapendo che per tanti km non avrei incontrato riparo. Scelsi di continuare.
Tra Bourg-Madame e Mont Louis ci sono circa 18km. Impiegai tre ore e mezza per percorrerli. La temperatura era di -12°C, ma con quel vento sferzante contro di me, la temperatura percepita era ben più rigida. Avevo indossato tutti i vestiti più pesanti eppure continuavo ad avere freddo alle mani ed ai piedi. Il vento spifferava sotto, attraverso, sopra i vestiti. Mi fermai diverse volte a bere il tè caldo che mi ero preparato, astutamente, poco prima di lasciare il mio rifugio al caldo. Non ricordo di aver sportivamente ed avventurosamente sofferto così tanto nella mia vita. Quando vidi passare due o tre furgoncini, fui combattuto se provare a fermarli oppure se proseguire con le mie forze.
Una visione, o un'ingenuità mia? Vidi il trenino giallo passare di fronte alla mia direzione di marcia. Così aumentai (da 6 a 8 km/h probabilmente) il ritmo per cercare di arrivare alla stazione di La Cabanasse. Non fu una visione, ma il treno era in marcia solo per manutenzione. Arrivato a Mont-Louis, vidi una stazione di rifornimento con bar annesso. Festeggiai la fine dell'agonia. Ordinai una brocca di té caldo ed un pan au chocolat. Ridiedi vigore e sembianze umane alla pelle scalfita dal freddo, alle labbra che iniziavano a bruciare perché tagliate e soprattutto al morale. Mancavano ancora 120km di strada, c'era poco da festeggiare!

Discesa e tornanti da Mont-Louis. Unica fotografia della mattinata


Per affrontare la lunghissima discesa, e per combattere un freddo ormai entrato nelle ossa, mi misi talmente tanti strati addosso da sembrare la mascotte Omino Michelin. Fortunatamente, il vento si placò e mi permise di scendere senza troppi rischi. Tirai dritto fino a Villefrance-de-Conflent. Un borgo medioevale veramente bellissimo. Una fermata ed una visita al Fort Libéria, alla Grotte des Grandes Canalettes meritevole di cascata di plausi dalle gallerie e dalla platea del teatro pirenaico

Villefrance-de-Conflent e la cinta muraria.



In direzione Perpignan e costa francese

Pynta 'n città


Ripartito dopo aver mangiato alla sagra del tartufo – un poco di fortuna ogni tanto non dispiace affatto! –, non mi fermai più fino a Perpignan e Port-la-Nouvelle, dove mi fermai a dormire da un ragazzo tornato da poco dal giro del mondo in bicicletta durato un anno e mezzo. Dormì su di un materasso sgualcito, ma mi sembrò di dormire in una reggia, al sicuro dalle intemperie. Nel frattempo, la tempesta si scaricava sui Pirenei, alle mie spalle e si portava appresso gli strascichi sull'Occitania occidentale e centrale.

Giorno 6
Il giorno sei, lo scelsi come “tappone” d'avvicinamento alla Camargue e Marsiglia, essendo tutta pianura. Ho così deciso di tagliare dal percorso Montpellier e di soffermarmi solo brevemente al Parc Naturel de la Narbonnaise e con destinazione finale per la notte il grazioso paese sul mare di Saintes-Maries-de-la-Mer. Pianificavo da tempo di passare per Arles, avrei voluto vedere dove il Vincent di Zundert operò, dove visse per alcuni anni. Avrei voluto vedere coi miei occhi quel che lui vide coi suoi. Purtroppo, la deviazione a nord per Arles mi sarebbe costata più di mezza giornata. Sebbene io sia un cicloturista e non un ultra-ciclista (non ancora, almeno), scelsi di affrontare questa sfida non solo col mio corpo e la mia mente ma anche contro le lancette di un orologio che inesorabile sfoglia le ore del giorno con estrema semplicità.
Ancora una volta dovetti fare i conti con un clima ben più mite – +2°C la mattina e +10°C di giorno – ma umido e molto variabile. Un tappeto di nuvole con saltuari schiarimenti mi accompagnò per tutto il giorno.
Costeggiare il mare, vedere per la prima volta nella mia vita, in condizioni di libertà, i fenicotteri rosa nei dintorni di Gruissan e dell'Etang de Thau, sotto la cittadina di Narbonne, è valso tutto il viaggio. Da anni aspettavo questo momento, e fu ancora più inaspettato perché ero a conoscenza della presenza di fenicotteri rosa a la Camargue ma non mi sarei mai immaginato che anche qui vi fossero esemplari. Mi fermai così ad ammirarli, in un silenzio interrotto solo dagli sporadici treni sbuffanti alle mie spalle. E così, con la testa annebbiata da questo bel ricordo, macinai km passando per Frontignan e Palavas-les-Flots dove ci misi del buon tempo per capire dove passasse la stradina, vedendomi circondato dal mare peggio che quella notte alla Punta della Dogana, che il mio caro amico Alba sicuramente ricorderà. Mi fermai a mangiare piuttosto tardi nell'unico posto aperto che trovai. Qui, mi unii al tavolo dei proprietari che si erano appena cucinati una pasta per loro, per i camerieri e la pizzaiola. Un appunto sulla pizzaiola è dovere: una ragazza francese originaria del Guadalupe, che ama l'Italia e la pizza e che è finita in un posto sperduto a fare la pizzaiola. Terminata la pasta, dopo aver cercato di raccontare del mio viaggio in un francese vagamente maccheronico, la fame continuava ad attanagliare il mio stomaco. Così mi resi utile alla società e lasciai che la pizzaiola, orgogliosa e con un sorriso sornione, mi facesse una pizza vegetariana (accolsero questa mia notizia quasi come una malattia) e che decidesse lei gli ingredienti. Apprezzai lo sforzo, trangugiai la pizza in 5 minuti ma solo dopo averla annegata nell'olio piccante.
Feci rifornimento di viveri in un piccolo discount presso Aigues-Mortes perché nella Camargue, il giorno successivo, non avrei avuto la possibilità di ottenere del cibo se non andandolo a rubare agli animali allo stato brado.

Giorno 7
Mi svegliai molto presto, per due motivazioni: vedere l'alba sul mare e per avere più tempo per godere della Camargue ed arrivare a Marsiglia al calar del sole, dove Eloi mi aspettava per la notte.

Il sole, che forza. Il mare, quanti ricordi.


Un'alba come quella che ho visto a Saintes-Maries-de-la-Mer, con colori e luce invernali, non mi è mai capitato se non in Australia. Capì, in quei fantastici istanti, che il sole scalpita per nascere. E quando lo fa, capita che esploda in un giubilo di colori. A volte anche i più grandi scrittori rimangono senza parole: quel giorno fu il turno. Mi reputai fortunato per aver assistito a quella meraviglia. Mi ritenni ricompensato, quasi arrivando alla presunzione di pensare “Bene, dopo tutta la fatica che sto facendo, la natura mi ringrazia a suo modo!”. Poi smisi di pensare ed imboccai la strada principali delle Bocche del Rodano, prima di incrociare la stradina D85A che costeggia l'Etang de Monro e circumbiciclettando l'Etang de Vaccarés. Ed è qui che persi la testa per il panorama di cui io stesso entrai a far parte. Divenni anche io attore, anzi comparsa, di quell'inconscio ed inconsapevole spettacolo che apre il sipario tutti i giorni per tutto il giorno. Vidi il conosciuto cavallo bianco della Camargue brucare erba nelle pozze. Vidi un gruppo di fenicotteri rosa, sebbene in lontananza, nell'intento di procurarsi il cibo. E poi vidi qualche altro cavallo. Il cielo quel giorno mi graziava a tratti. Donava al panorama una fioca luce rossastra, che attribuì alla Camargue l'appallativo di “Etterno Autunno”.
Qui imboccai una stradina che passò nel mezzo di due Etang. Forse la carrareccia più suggestiva mai attraversata, grazie anche e soprattutto ai colori di cui parlo poco sopra. Ebbene, sorrisi e continuai a farlo. Pensai che sono fortunato ad essere vivo ed a poter godere di tanta bellezza. Pensai che è nostro dovere proteggere la natura. Pensai a Lost Highways di Lynch.

Lost Highways by Andrea in Camargue

Mi fermai a mangiare in riva al Rodano, ancora scosso da cotanta bellezza, e poi mi resi conto che dove pensavo ci fosse un ponte, tal ponte non c'era. Aprì le mappe e mi ritrovai senza capire come attraversare il Rodano. Chiesi ad un passante, forse un lavoratore agricolo della zona – ricordiamoci che non siamo in città ma in una riserva quasi disabitata ed isolata e che incontrare umani non è dunque cosa semplice –, come potessi attraversare il fiume senza dover costruire una zattera, e lui mi disse “Oui oui . . . ah ah . . . Voyage . . . Bac de Barcarin Rodano oui”. Poi mi indicò il sud e vidi un imbarcadero attraversare il fiume da una sponda all'altra. “Aaaaah!” pensai, e mi diressi al Bac de Barcarin. Sebbene fosse abituato, il capitano dell'imbarcadero, a caricare auto e motorini, quel giorno caricò me e Pynta. Passai quei 4 minuti lasciandomi sferzare i capelli dal vento proveniente da nord, e mi sentii un poco come Di Caprio in Titanic.
Passai sulla sponda orientale del fiume e mi diressi verso Marsiglia. Il tempo peggiorò, ed appena superata Martigues, una pioggerella londinese cominciò a tenermi compagnia. “Marsiglia. Leggevo che a Marsiglia ci sono più di 300 giorni l'anno di sole. Noto con piacere d'esserci capitato in uno dei restanti 65!”. Insomma, la pioggia non mi preoccupava, ma io volevo vedere Marsiglia con luce in modo da poter fotografare il Chateau d'If, teatro di una delle più belle tragedie della letteratura: Il Conte di Montecristo.

Marsiglia. Mi ricorda molto Genova. POV dall'alto, piazzale della Gare centrale


Eloi, un 28enne francese che parla italiano, spagnolo e portoghese oltre che la sua lingua madre, mi racconta in italiano della sua avventura ne sud delle Americhe con una bicicletta dal peso esorbitante (85kg). La cosa che mi ha sorpreso, parlando con lui, è la semplicità del viaggiare seconda la sua filosofia: oggi noi parliamo di vestiario tecnico, di componentistica top di gamma (di sicuro non è il mio caso, e chi se lo può permettere?) per affrontare dei lunghi viaggi quando lui ha fatto circa 10.000km con una bicicletta da poche centinaia di euro e con il pacco pignoni con la protezione in plastica di inizio anni '90 e con gli ammortizzatori scarichi e quasi ossidati. “Siamo noi stessi a limitarci. Il viaggiare non è tanto il percorrere km e vedere posti nuovi, esotici. No, no. Viaggiare è avere occhi nuovi. Viaggiare è consapevolezza e lotta” pensai tra me e me, poco prima di coricarmi e cadere in un sonno profondo.
 

Provenza, Costa azzurra e Liguria: entusiasmi creativi

Giorno 8
Dopo la grande tappa del giorno precedente, così carica di emozioni (voi gente moderna e la storia delle good vibes . . andate a lavare i panni valà, che è meglio!) mi fece prendere di buon umore una deviazione che mi impedì di passare per il Parc national des Calanques e tutto il tratto di costa tra Marsiglia e Saint-Tropez.
Da Marsiglia imboccai una strada secondaria in direzione Aubagne e da lì, per evitare di passare per una strada trafficata, la D560, decisi di prendere una stradina di campagna in direzione Brignoles e passando per Mazaugues. Marsiglia si trova in una conca ed è circondata da colline. Eloi me lo aveva detto la sera prima “Uscire da Marsiglia senza conoscere la strada giusta, può voler significare tanto dislivello aspro ed infimo”. Difatti mi ritrovai a dover rampicare assieme a Pynta una collina infinita. Poi, alla prima deviazione verso Brignoles, svoltai con convinzione e con la lingua di fuori. Oggi, causa crisi di fame e mandorle giunte alle ultime unità, il pranzo venne consumato ad orari svizzero-nordici. Ripresi il cammino per Le Luc. Eloi mi aveva parlato del Plaine de Maures. “Per certi versi, pare di stare in Africa. Vedrai che alberi” mi disse. Giunto a Le Luc, mi abbassai un poco per scorgere tali alberi senza inoltrami nella selva ma non mi riuscì: dovevo andare nel mezzo del Plaine, per poterli vedere. Mi persi per strada e decisi di deviare per Sainte-Maxime, ubicato sulla sponda nord del Golfo di Saint-Tropez

La Costa azzurrossastra


Da li seguì tutta la litoranea fino a Frejus, dove mi fermai ad imbucare delle cartoline e poi a Saint-Raphael, frazione di Frejus, dove Marie-Anne mi aspettava per ospitarmi. Marie-Anne è un'insegnante delle elementari, anche a lei piace molto viaggiare ed ha un gatto amorevole di nome Gedeòne, una birba bianco-arancione che voleva a tutti i costi intrufolarsi nella stanza a me riservata. Non ce la fece, le dimostrai il mio affetto mentre oziava sul pianoforte di Marie-Anne.
Iniziai, non so per quale motivo, a sentirti in dirittura d'arrivo.

Giorno 9
Il giorno 9 lo ricordo con piacere come il giorno di Guyle, del quale parlerò a breve. Temperatura rigida per essere in Cote d'Azur (mi vogliano scusare gli amici francesi, ma non ho i caratteri speciali e la mia pigrizia grammaticale mi impedisce di andarli a cercare) al mattino presto con circa +2°C, presto arrivò il momento di rimanere in felpa, sebbene il vento fosse insidioso. Rimasi impressionato dalla bellezza di quel tratto di costa, che definirei più Cote Rouge che d'Azur, grazie alle rocce di color rosso porpora che caratterizzano questa porzione costiera.

Rocce rosse, vegetazione e mare. I calanchi sulla destra, in picciolo.
 
Una meraviglia di contrasto

Il clima mite permette ai giardini ed alla natura di essere piuttosto rigogliosi, con fioriture violacee e gialle. Ammirai i numerosissimo calanchi, come quello di Saint-Berthélemy, ed iniziai ad assaporare gli infiniti su e giù che saranno il tratto distintivo della strada fino a Genova. Vidi in lontananza le Alpi innevate, le Alpi Marittime. Mi sentii a casa. Sembrava strano ed inverosimile, ma la sera sarei poi arrivato oltre quel confine visivo che stavo in quel momento mirando.
Ah si, certo, non vi ho più detto che decisi di passare per la costa e non per il Passo di Monginevro. I -16°C previsti e la missione di far la sorpresa a Federica ed Agnese, con la complicità del socio in affari Luciano detto Lucio, mi permisero di essere intransigente e fermo nel momento della scelta.

Pynta, grande condottiera, si riscalda al meritato sole.

Le Alpi Marittime sopra Nizza ed il confine italiano


Arrivai in prossimità di Cannes, quando mi sentii battere sulla spalla. Mi voltai e vidi un signore intento a parlarmi in francese. Capii e chiesi se fosse possibile parlar in inglese, o spagnolo o italiano così sarei riuscito ad esprimermi meglio. Cominciammo a parlare un poco in francese, alcune parole in italiano e la maggioranza dei periodi in inglese. Parlammo affiancati, pedalando, per qualche km quando mi chiese di mangiare con lui. Era presto per pranzare, ma acconsentii felice e mangiammo assieme. Guyle ha 84 anni ed è un nonno da 8000km in bicicletta all'anno. Presidente di una squadra ciclistica amatoriale e di un club di amanti delle due ruote non motorizzate. Mi racconta della sua vita e mi chiede con estremo interesse del mio viaggio, del perché e dello spirito con cui lo affronto. Poi mi invita a parlare al suo club di Cannes per la primavera 2018. Ci scambiammo le nostre e-mail. Un'ora intensa che fa perdere la cognizione del tempo e del lungo percorso che avevo ancora davanti a me quel giorno. Mi svegliai infatti con l'intenzione di arrivare sino a Imperia, dove Cristiano s'aspettava di vedermi comparire entro sera.

Andrea e il mare.

Andrea e Guyle


Giunti ai saluti, partii come un razzo verso Nizza. Decisi di effettuare una breve deviazione percorrendo l'intero Cape d'Antibes. Un vero gioiellino di tranquillità e mare. Anche Antibes, il paese dentro le mura ed il porto vecchio meritano una sosta.

Cap d'Antibes, Golfe de Napoule in lontananza
Gabbiani intenti a pigliare il sole


Prima del pranzo, quello ad orari cristiani, arrivai a Nizza. Un giro veloce per il centro storico e poi via sul lungomare. Sul lungomare mi vennero i brividi a pensare all'attentato terroristico del 2016. Un camion che corre a zig zag, falciando persone. Decisi di passare oltre e di dirigermi verso il Principato di Monaco, che però non visitai. Si, perché se è vero che tutte le strade portano a Roma, in Costa Azzurra posso tranquillamente affermare che nessuna strada porta a Monacò.

Lungomare di Nizza. Sulla ciclabile dell'Eurovelo 8.


Il dislivello accumulato oggi è forse il più consistente dall'inizio del viaggio. Comincio ad essere stanco, sebbene la strada sia ancora lunga.
Mi fermo per un caffè a Mentone, mi sistemo felpa, caschetto e pantaloncini come se stessi andando ad una cena di gala. Volevo essere pronto per riabbracciare la mia Italia. Al confine ero emozionato. Se a Frejus mi sentivo in dirittura d'arrivo, al confine mi sentii a casa con un té caldo in mano. Chiesi ai militari di fare una fotografia col cartello. “Non c'è problema, basta che i francesi pure ti dicano di si”, mi disse un militare. I poliziotti francesi mi dissero che non era permesso fare fotografie. Io li ascoltai, e scattai un paio di fotografie con Pynta nelle vesti di mia personale fotomodella.

Mentone, quasi Italia

Pynta, fotomodella ed il cartello ItaliE!


A Mortola Inferiore, ero già stufo d'essere in Italia. Sull'Aurelia le auto cominciarono a passarmi molto vicine, altre addirittura a suonar il clacson. Passai Bordighera e pensai a Claude Monet ed alle opere che creò durante il suo soggiorno tra Bordighera e Antibes. A mio modo, mi sentii anche io un artista. A volta con le parole, altre con la bicicletta. Spesso non capito. L'arte ha miliardi di sfaccettature ed io ho scelto le mie.

Come dar torto a Monet?

Giunto a Sanremo a metà pomeriggio, imboccai la nuova e famosa pista ciclabile dove qualche anno addietro partì il Giro d'Italia e la percorsi tutta. Ci tengo ivi a sottolineare come la Liguria abbia un enorme potenziale in termini di piste ciclabili. Difatti, la vecchia ferrovia che corre parallela e accanto al mare è stata smantellata. In alcuni tratti, come quello tra San Remo e Santo Stefano al Mare sono completi. Altri invece sono lontani dall'essere cominciati. Carissimi comuni: tirati fuori il grano dalle tasche e, una volta tanto, costruite delle infrastrutture che abbiano un progetto ed un ritorno a lungo termine. Comuni italiani tutti: adoperatevi, è pieno di persone professionali ed in grado di dare vita a progetti per una viabilità più sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e della salute. Multinazionali e lobby del petrolio e degli idrocarburi cari: avete gli anni contati anche in una paese lento al cambiamento come l'Italia!
A casa di Cristiano ci arrivai quasi per sbaglio. Mi aspettò sulla soglia di casa sua e, fatte le presentazioni del caso, iniziammo a parlare di bicicletta. Mi chiese del viaggio, scambiammo due parole e poi lui di dileguò per continuare la sua giornata da lavoratore e padre a tempo pieno.
La sera, dopo aver mangiato una pizza che da tempo bramavo, ricevetti una telefonata da casa. Era tempo di tornare prematuramente, per un'emergenza personale. Decisi che il giorno seguente sarei arrivato a Savona in bicicletta, avrei portato a termine il mio obiettivo della sorpresa ad Agnese e Federica , avrei salutato Lucio, Marina, Alessandro e poi mi sarei imbarcato assieme a Pynta su un treno per Brescia.
Non ho provato la benché minima frustrazione o delusione all'idea di un viaggio concluso prima del previsto.

Tramonto sul mare, pace dell'anima.






Giorno 10

Jonathan in viaggio con me
Sveglia all'alba. Cristiano, ciclista appassionato, la sera prima si offrì di accompagnarmi fino ad Albenga e così fu. Partimmo assieme, lui stradista ed io coi borsoni carichi, ho fatto fatica a tenere la sua media iniziale. Poi deve avermi visto arrancare sul Capo Mimosa e diminuì l'andatura. Parlammo di ciclismo professionistico, di politiche urbane volte a migliorare le infrastrutture esistenti, della corruzione e dei giochetti politici. Attraversammo Alassio per il centro storico e poi dritti ad Albenga. Lo ringraziai per essere stato un'ottima guida. Albenga è chiamata la San Giminiano ligure, grazie alle sue tante torri che imperano sull'orizzonte cittadino.
Ad Albenga ci salutammo, dopo un caffè, e ripresi la mia corsa solitaria con la promessa di rivederci la prossima volta che decida di ritornare verso Imperia.
Dopo Pietra Ligure e Borgio Varezzi, l'Aurelia diviene una meraviglia. Finale Ligure, Varigotti e Capo Noli sono dei gioielli. Mi fermai spesso ad ammirare il turchese del mare, che in inverno, forse per la sua solitudine, è ancora più vivido. Il mare, quanti ricordi . . . 

Il mare . . quanti ricordi (cit.)

Pynta contrasta col turchese di Capo Noli

Una meraviglia questo tratto di Aurelia


 
Arrivato a Bergeggi all'altezza di Gianbirraska, classica sosta della temibile coppia Andrea-Lucio, ultimamente aperta anche a Federica ed Agnese, incappai in una leggera crisi di forze. Il mio corpo si sentì forse rilassato per la vicinanza della meta. Insomma, quei 50 metri di dislivello sembrarono 500 e la velocità quella di un bradipo dopo 3 giorni di insonnia.
Vado Ligure, obbrobrio, ed arrivo sul lungomare di Savona dove una folla scalpitante composta da Lucio e la sua auto mi diedero il benvenuto.
Andammo dove lavora Federica e le feci una sorpresa. L'espressione di gioia e lacrime, assieme all'abbraccio che mi diede, sono forse il più bel ricordo del viaggio. Poi vidi Agnese, Marina ed Alessandro. Era finita, ma non me ne resi conto.







Conclusioni e ringraziamenti di una piccola esperienza personale, che considero una goccia nell'oceano della vita

Si viaggia, spesso, anche per riscoprire il piacere di tornare a casa. Io ho viaggiato anche per questo, oltre che per una miriade di altre motivazioni. Perché sono zingaro: una forza innata che mi porta a non riuscire a fermarmi in un posto. Perché scappo. Scappo da qualcosa o qualcuno. Perché viaggiando in bicicletta ho dimostrato a me stesso ed agli altri che le due ruote sono il trasporto del futuro: sostenibile, a basso costo e salutare. Perché resistendo alle intemperie e superando le difficoltà, ho dimostrato a me stesso ed a chi mi è vicino che la forza d'animo e la volontà ci possono far raggiungere traguardi che non avremmo mai pensato. Perché ho voluto dare un'altra possibilità all'essere umano, ho cercato di recuperare la fiducia in un animale, la mia specie, per il quale di fiducia non ne avevo più. Perché mi è sempre piaciuto esplorare e conoscere il mondo, la natura e le differenti tradizioni dei popoli. Perché ho sempre cercato di essere diverso e sono sempre stato uguale a tutti, fino a quando ho iniziato ad essere me stesso ed ho imparato a fregarmene del fatto di essere uguale o diverso. E quindi una persona sarebbe tornata in aereo, mentre io in bicicletta. Perché ho voluto dimostrarmi che il viaggio sta' davvero nel vedere le stesse cose con occhi diversi: ovvero, il viaggio è dentro di noi. Nessuna montagna, nessuna onda e nessun albero ci indicheranno mai la via da percorrere. Siamo noi stessi, il nostro viaggio.
Andrea

P.S. non sono i titoli di coda di un'avventura, ma il prequel di quel che verrà . .



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