La Spagna presenta
un grosso altopiano di origine arenosa, su cui sorge anche Madrid,
posto tra l'Extremadura ad ovest, la Sierra Morena a sud, la
Cordillera Cantabrica a nord e si estende fino alla Catalunya, dove
iniziano i maestosi Pirenei. Viene chiamata Meseta. La principale
caratteristica dei terreni sabbiosi è quella di essere
particolarmente inclini alla sedimentazione ondulata. Formano dei
continui su e giù, voglio dire. E quei continui su è giù, tra i 30
ed i 200 metri di dislivello positivo ognuno, sono stati lo scoglio
da affrontare nella prima parte del viaggio.
Plonti, paltenza e via. |
Giorno 1
Parto molto
presto da Madrid, alle 06:00 circa, di modo da attraversarla senza
traffico e per avere più ore pedalabili ed avvicinarmi il prima
possibile ai Pirenei. Perché? Perché davano un forte ciclone in
arrivo dall'Atlantico, il quale avrebbe colpito i Pirenei proprio
durante il mio passaggio. Volevo esser io a dare il benvenuto al
maltempo e non il contrario.
La prima parte del
tracciato, più o meno studiata su www.ciclistiamo.it
e su Open Street Map (OSM), è insidiosa a causa del traffico e per
le tante strade secondarie e carrarecce costeggianti la superstrada
che hanno improvvise deviazioni. In breve: dovevo stare attento a non
perdermi. Il sole splende, il freddo che caratterizza le mattine
della Meseta incalza ma non crea alcun disagio alla mia marcia. In
poco raggiunsi, con qualche su e giù, Guadalajara che per me
rappresenta le Colonne d'Ercole verso est. Da lì, tutto è sconosciuto.
La mattina m'incontrai ringalluzzito dall'emozione per quello che stavo per
fare. Anzi, che dico, per quello che stavo facendo. Canticchiai
cavalcando la mia Pynta (il nome della mia bicicletta), il sole
splendeva ancora sebbene da nord-ovest iniziai a veder sopraggiungere
le nuvole.
Io, nell'impresa di risultare simpatico e contento durante un autoscatto in movimento |
Dopo un pranzo veloce, ripartii alla volta di Alcolea de
Pinar, sito a circa 1200mslm e punto più alto del percorso fino ai
Pirenei. Arrivai ad Alcolea de Pinar al calar del sole ma decisi di
proseguire in modo da macinare più km possibili nei primi due
giorni. Sebbene avessi programmato di metterci tre giorni per
arrivare all'attacco dei Pirenei, presso Lleida/Balaguer, nei giorni
precedenti la partenza decisi di provarci in due giorni. Quando ormai
non ci si vedeva più, proseguii un'altra quarantina di km ed arrivai
presso la Laguna de Gallocanta e da lì a Monreal del Campo dove passai la prima notte in un hostal. Sperduto nel nulla, non avevo
avuto la fortuna e la possibilità di trovare nessun host tramite
www.warmshowers.org, vera
rivelazione positiva del viaggio.
Desolatio, desolationis. |
Giorno 2
Anche il giorno 2 cominciò piuttosto presto. Mi addormentai con la
convinzione che sarei arrivato sino a Lleida e mi risvegliai ancora
più convinto di potercela fare. Dopo la solita abbondante colazione
con una baguette tostata e succo-polpa di pomodoro, un filo molto generoso di olio per aumentare la quantità di grassi di buona
qualità per avere energie da bruciare, ripartii.
Purtroppo,
la giornata fu molto grigia e piuttosto umida. Notai con poco
entusiasmo quanto il meteo sia in grado di influenzare il mio umore.
Cielo grigio, umore plumbeo. Più che plumbeo, lo definii gravido di
tempesta interiore. Nonostante gli 0-3°C, l'umidità fu tanto
pungente e penetrante che soffri freddo alle mani ed ai piedi per
tutta la mattinata. Una nebbia pregna di acqua si alzò e si
stabilizzò, rendendo la discesa tra Calamocha e
Quinto un continuo incontro pugilistico tra gli emisferi destro e
sinistro del mio cervello: “All'angolo sinistro, fate un applauso
per la Fooorza di Volontà e Sacrificio. All'angolo destro, l'eterno
secondo, sempre più guerreggiante . . . tutti in piedi per
l'IIIINerzia”.
Iniziò a soffiare un forte vento e, non essendoci
ripari o alture nei paraggi, non avevo alcun riparo. Poi iniziò a
piovigginare, quando arrivai a Quinto, dove mi fermai per un tardivo
pranzo. La nebbia e la pioggerella eran tanto fitte da non riuscire
nemmeno a vedere i cartelli stradali. I pochi cartelli stradali,
invero, furono motivo di svago e di risate solitarie. Quando vidi
Albalate del Arzobispo o Vinaceite, cominciai a
giocarci tra me e me, e per alcuni km non mi accorsi di pedalare. Si
aggiunsero poi alcune domande di rito, quali “chi me lo ha fatto
fare?” o “appena arrivo a casa, se ci arrivo, dato che sui
Pirenei rimango sotto la neve oppure il vento mi spazza per benino,
inizio a fare una vita sedentaria davanti ai videogiochi. Vero
Andrea?".
Nebbiolina, pioggerella e venticello. Trionfo del vezzeggiativo |
Invero, il breve
timore che ho avuto in quel frangente del viaggio è stato vettore di
energia inaspettata. A capo chino, indifferente ai paesaggi
invisibili celati dietro la coltre di nubi e nebbia – ormai
compagne di viaggio -, iniziai a pedalare con andatura regolare e
stanca. Mi fermai a cena in un bar col wifi e confermai a Ros il mio
arrivo intorno alle 22. Dopo cena mi rimisi in marcia e
abbondantemente dopo le 22 arrivai ospite da Ros, nella periferia di
Lleida, e nel suo appartamento dove vive con due cani, un marocchino
ed un catalano. Il meteo dà per passata la prima parte della
perturbazione atlantica, con la seconda in arrivo entro 48h. Dopo
qualche parola scambiata con Ros ed il ragazzo marocchino, sistemo la
bicicletta ed il carico, il sacco a pelo e mi assopisco su di un
largo divano pieno di peli di cane.
Divano con peli di cane e luce soffusa e stufa elettrica abbronzante. Dove dormì Andrea |
Benvingut a
Catalunya, Pirineu català
Giorno 3
Mi
svegliai con tutt'altro umore. Non ho seguito bene l'incontro del
giorno precedente, ma ritengo che sul ring la Forza di Volontà abbia
vinto per KO tecnico dopo un solo round, a spese di un'Inerzia poco
convinta. La piazza di Lleida, alle 07:00 del mattino, segnava -5°C,
ancora nuvoloso. Iniziai a respirare aria catalana e non più
spagnola. Che fosse migliore o peggiore non era affar mio, ma
sicuramente, la differenza era palese.
Presa la strada
secondaria in direzione Balaguer, mangiai una quantità di mandorle
degna di nota e decisi di fermarmi a far colazione al suddetto
paesino. Alle 08:40 avevo già percorso i 35-40km che separano
Balaguer da Lleida. Mi fermai vicino alla stazione per prendere un
caffè. L'oste mi preparò una tostada con tomate fatta coi
fiocchi ed il solito, bruciato, cortado (il nostro caffè
macchiato). Il matto, nonché ubriacone, del paese decise di
auto-incaricarsi “Guardiano di Pynta”. Si mise a guardarla, con
birra in mano, ore 09:00 circa, con tanta tenacia e fermezza che, a
saperlo prima, avrei evitato di portare con me il catenaccio!
Salutai, non pagai la colazione che mi venne offerta da un signore
del posto come segno di riconoscenza per il mio sforzo e come
Benvingut, e mi rimisi in marcia.
Ancora, il vento e
le nuvole basse dominarono tutto l'arco della mattinata. Il vento
contro, in qualsiasi direzione pedalassi, era contro. Pedalai tutta
la mattina lungo la spalla della strada regionale C-26 prima e C-14
poi, piuttosto trafficate. Il freddo ed umido vento è piuttosto
fastidioso. Notai con sbigottimento come, in poche decine di km da
Lleida e la fine della Meseta ad ora, il paesaggio fosse passato da
brullo e roccioso/sabbioso a verdeggiante e pieno di coltivazioni,
viti e fattorie. Inconfondibile l'odore acre di letame, che mi
riporta coi pensieri nella florida e poco inquinata bassa bresciana.
Scorcio su Ponts |
In un battito di
ciglia, mi ritrovo a Ponts, per il solito pranzo ritardatario delle
ore 15:00. Ordino uno sfilatino tanto grande e farcito da far pensare
(e non è la prima volta che mi capita) alla cameriera di dover
portare due coperti. Sorpresa: son da solo! Riprendo la marcia
catalana in direzione Monestir de Santa Maria de Gualter dove mi
aspettano per la notte i genitori di Jordi: Maria Dolors e Josep,
anche loro fantastici host di Warmshowers.
Uno alla volta, uno alla volta per carità. Sfilatini a volontà |
Anche qui è autunno inoltrato. |
Il mio primo incontro col Segre |
Orgogliosissimi catalani,
sono rispettivamente i custodi e la reggente del piccolo comune di
200 anime. Dopo avermi mostrato il Monastero, parzialmente distrutto
dalle truppe di Franco (che non è il fruttivendolo del paese, bensì
il dittatore Francisco Franco), mi mostrò le tante escursioni
possibili nella zona e tutti i maggiori luoghi d'interesse. Mi indicò
poi la stanza per la notte, e la doccia calda era lì tutta per me.
Approfittai della tappa “breve” (circa 90-100km) per sistemare il
carico anteriore che stava inficiando troppo la forcella, un po'
troppo leggera per questa tipologia di pedalate. E poi mi prepararono
la cena, mangiammo tutti assieme specialità catalane (erano stati
avvisati da Jordi, in vacanza in quel momento, che non mangio carne e
pesce) in versione vegetariana. Bevvi il vino nelle tradizionali
ampolle catalane, io raccontai loro le mie avventure degli ultimi
anni e loro quelle del figlio Jordi.
Cena catalana a base di catalanità e simpatia. Qui con Maria Dolors. Josep alla camera. |
Monestir Santa Maria de Gualter |
Pynta ed il Monestir |
Poi fu la volta della propaganda
catalana, a cui seguì una fotografia con bicicletta e bandiera
dell'indipendenza. Una bellissima esperienza, conoscendo persone
stupende quella che ho vissuto nella piccola frazione di Gualter
assieme a Maria Dolors e Josep.
Si riparte, ma solo dopo la fotografia di rito. |
Giorno 4
Finalmente
il sole. Eppure davano nevischio! Mi preparai al peggio, mentre il
tempo si mostrò clemente. Almeno la mattina presto. Da qui, da
Gualter, entrai nei veri Pirenei. Una catena montuosa a mio avviso
sottovalutata, poi capiremo assieme i vari motivi.
Sopra Gualer, verso Oliana, ormai addentrato nei Pirenei. |
Iniziai la giornata
con uno strappo in salita di circa 2km con una media del 10-12%,
assoluta rarità lungo tutto il percorso che mi porterà fino in
Francia. Infatti, la salita fino al confine è discontinua,
lunghissima ma leggera. Pendenza con una media intorno al 3% e
continui saliscendi, dove bisogna stare attenti a gestire per le gambe
con un carico di quasi 30kg. Finita la breve ed irta salita, lacrimo
per la bellezza del paesaggio che mi rivela. Lacrimo anche per il
vento gelido (non avevo gli occhiali, figurarsi!). Intravidi la
maestosità di alcuni dei picchi più alti dei Pirenei. Rocce in
lontananza, e rigogliose abetaie.
Eccoli, li Pirenei! |
Pantà del Segre |
Il clima qui è più mite di quello
a cui siamo abituati noi alpini. Sebbene durante la notte e la
mattina alle 08:00 vi possano essere -10°C, poco dopo mezzodì le
temperature sfiorano ed a volte superano i +10°C. I Pirenei mi
insegnarono a vestirmi a cipolla, e ad avere la pazienza di continue
aperture di borse e zaini.
Dov'era finito il
brutto tempo di cui si parlava poc'anzi? Io non me ne accorsi, risi
perché ero convinto di averla scampata. Eppure era dietro di me,
pronto a ruggire. Mi fermai ad Oliana a rifocillarmi. Mangiai un
pezzo di torta al cioccolato e mandorle, e nel frattempo contemplavo
le rocciose pareti che sono tanto famose in tutto il mondo
dell'arrampicata. Avrei voluto aver con me scarpette e magnesite, in
modo da emulare il buon Messner: solo ed a mani nude, senza
assicurazioni. Invece mi limitai a fantasticare ed a programmare un
ritorno in queste zone e continua per la mia strada.
La valle presso Oliana e le famose falesie |
Rocce sacre dell'arrampicata |
Il Segre presso Oliana, subito dopo il ponte da cui inizia la strada per Andorra. |
Qui, da Oliana,
iniziano le vere montagne, come le intendiamo noi. Il percorso che ho
scelto costeggia il fiume Segre. Poco dopo Oliana, la valle si
restringe clamorosamente e fino a La Seu d'Urgell non s'allargherà
più. In prossimità del Pantà d'Oliana mi
fermai a scattare qualche fotografia al pantano, color blu limpido in
realtà, quando notai nel cielo del movimento. Quale meraviglia mi
capitò sopra la mia zucca vuota: aquile, sfruttando le correnti
ascensionali, si esibivano in danze senza tempo. Rimasi ad ammirarle
per qualche decina di minuti. Ne approfittai per mangiare altre
mandorle (avevo con me 4 confezioni, circa 800g di mandorle in tutto)
ed i fichi secchi. Le continue gallerie, che in bicicletta sono
pericolose e non percorribili, mi permisero di prendere
un'alternativa esterna, scavata nella roccia in alcuni tratti e quasi
a picco sul canyon formato dal Segre.
La strada sul Segre a traffico limitato ad Andrea ed alle aquile |
Cielo da neve, a breve sui nostri teleschermi. |
Pantà d'Oliana 1bbis |
Una
nuvola passeggera dopo Organyà, portò del nevischio per una
mezz'ora abbondante e poi di nuovo il sole. La nuvola passò, ma il
vento rimase e quando arrivai a El Pla de Sant Tirs, ero come Davide
che lottò contro Golia. Una sfida impari sulla carta. Una sfida che
mi portò a fermarmi dietro la fermata del bus interurbano per
recuperare qualche forza perduta. Una sfida poi vinta da Davide.
Plan de Sant Tirs. Si vedono le bianche cime d'Andorra |
Passato poi a La Seu d'Urgell, dove ho brevemente visitato il paese e
la Catedral Santa Maria d'Urgell, ho tirato dritto per il Principato
d'Andorra.
Andorra
è piena di guidatori maleducati che si credono dei piccoli piloti di
Formula1. Mentre devo riconoscere la correttezza ed il rispetto
mostratomi dagli automobilisti spagnoli. Sebbene in Catalunya non vi
fosse traccia di neve, in Andorra le montagne erano innevate fino ai
1000m sopra il livello del mare. Una valle chiusa in se stessa,
formata da circa due o tre valli che formano una grande conca. Nel
pomeriggio, proseguì in direzione Puigcerdà dove invece era Montse
ad aspettarmi per la notte. Una tappa un po' troppo lunga, forse.
Ero
molto affamato e cercai un posto dove mangiare. La verità è che tra
La Seu e Puigcerdà, non c'è praticamente nulla. Passai per un
paesino chiamato El pont bar.
Ora, mi sarei aspettato di trovare almeno un bar in un paese che
contiene bar all'interno del proprio nome. Mi ritenni fortunato
invece a capire quale fosse il paese: 4 case, una stradina. Tirai
dritto fino a Bellver de Cerdanya dove mi fermai in una forneria che
rapinai di tutta la pizza avanzata, senza tanti convenevoli.
Imboccata
la strada Eje Pirenaico,
e costeggiando sulla destra i Tossals d'Isovol i Olopte, mandrie di
vacche e greggi di pecore pirenaiche ovunque, iniziai un'altra lotta
contro il vento.
Vette bianche e pascoli. |
Gli ultimi 10 km controvento mi sfinirono ed
arrivai poco prima di cena da Montse, la quale mi propose di andare
al suo chalet in montagna, in mezzo alla neve. Io di certo non mi
sentii nella condizione di rifiutare, sebbene fossi in apprensione
per il giorno a venire. Sistemai la bicicletta nel suo garage, già
pronta per il giorno successivo. Mangiammo un'ottima cena preparata
da lei ed andammo a dormire. In verità, ero un poco preoccupato
perché il giorno successivo davano neve e vento forte, con raffiche
fino a 50-60 km/h. L'aria era
già di tempesta, come si può ben vedere dalla fotografia. In
tal caso, sarebbe stato impossibile pedalare in discesa, aggirando
tornanti a picco sul canyon sottostante. Avevo visto che da
Borg-Madame, in Francia ma a 1km da Puigcerdà, partivano
due trenini al giorno che portavano fino a Villefranche-de-Conflent,
dove le previsioni meteo erano già più clementi. Parlo del Train
Jaune. Purtroppo, il sito delle ferrovie francesi lo dava come
cancellato. Era l'unica alternativa al pedalare. Il mistero
s'inasprì.
Cielo livido, preannuncia tempesta di neve. |
I dolori del giovane
Andrea: il difficile approccio con la Francia e la meravigliosa
Camargue
Giorno
5
Decisi di farmi riportare alla bicicletta molto presto, per
recarmi alla stazione di Bourg-Madame. La notte nevicò anche se non
si accumularono più di 5cm al suolo, a valle nulla, ed il vento era molto forte:
circa 25-30 km/h costanti. Arrivai a Bourg-Madame ma della stazione
nemmeno l'ombra. Certo, io mi aspettavo una casupola con le
indicazioni “stazione”. Mi fermo a chiedere e me la indicano,
ovviamente in francese perché i francesi ritengono uno smacco
parlare inglese o persino spagnolo, contando che si tratta di un
paese di confine! L'architettura completamente diversa a distanza di
200m, la lingua e la cultura. Ci rimasi quasi male.
Stazione
di Bourg-Madame: della grandezza di un bagno chimico, la stazione
presentava un cartello con scritto “Fermé jusqu'au . . . 23
décembre”. Bruttissima parola quel fermé,
e bruttissime sensazioni. Ora ero ad un bivio: fermarmi un giorno e
non rischiare, o continuare a pedalare sapendo che per tanti km non
avrei incontrato riparo. Scelsi di continuare.
Tra
Bourg-Madame e Mont Louis ci sono circa 18km. Impiegai tre ore e
mezza per percorrerli. La temperatura era di -12°C, ma con quel
vento sferzante contro di me, la temperatura percepita era ben più
rigida. Avevo indossato tutti i vestiti più pesanti eppure
continuavo ad avere freddo alle mani ed ai piedi. Il vento spifferava
sotto, attraverso, sopra i vestiti. Mi fermai diverse volte a bere il
tè caldo che mi ero preparato, astutamente, poco prima di lasciare
il mio rifugio al caldo. Non
ricordo di aver sportivamente ed avventurosamente sofferto così
tanto nella mia vita. Quando vidi passare due o tre furgoncini, fui
combattuto se provare a fermarli oppure se proseguire con le mie
forze.
Una visione, o un'ingenuità mia? Vidi il trenino giallo
passare di fronte alla mia direzione di marcia. Così aumentai (da 6
a 8 km/h probabilmente) il ritmo per cercare di arrivare alla
stazione di La Cabanasse. Non fu una visione, ma il treno era in
marcia solo per manutenzione. Arrivato a Mont-Louis, vidi una
stazione di rifornimento con bar annesso. Festeggiai la fine
dell'agonia. Ordinai una brocca di té caldo ed un pan au chocolat.
Ridiedi vigore e sembianze umane alla pelle scalfita dal freddo, alle
labbra che iniziavano a bruciare perché tagliate e soprattutto al
morale. Mancavano ancora 120km di strada, c'era poco da festeggiare!
Discesa e tornanti da Mont-Louis. Unica fotografia della mattinata |
Per
affrontare la lunghissima discesa, e per combattere un freddo ormai
entrato nelle ossa, mi misi talmente tanti strati addosso da sembrare
la mascotte Omino Michelin. Fortunatamente, il vento si placò e mi
permise di scendere senza troppi rischi. Tirai dritto fino a
Villefrance-de-Conflent. Un borgo medioevale veramente bellissimo.
Una fermata ed una visita al Fort Libéria, alla Grotte des Grandes
Canalettes meritevole di cascata di plausi dalle
gallerie e dalla platea del teatro pirenaico.
Villefrance-de-Conflent e la cinta muraria. |
In direzione Perpignan e costa francese |
Pynta 'n città |
Ripartito dopo aver mangiato alla sagra del tartufo – un poco di
fortuna ogni tanto non dispiace affatto! –, non mi fermai più fino
a Perpignan e
Port-la-Nouvelle, dove mi fermai a dormire da un ragazzo tornato da
poco dal giro del mondo in bicicletta durato
un anno e mezzo. Dormì su di
un materasso sgualcito, ma mi sembrò di dormire in una reggia, al
sicuro dalle intemperie. Nel frattempo, la tempesta si scaricava sui
Pirenei, alle mie spalle e si
portava appresso gli strascichi sull'Occitania occidentale e
centrale.
Giorno
6
Il giorno sei, lo scelsi come “tappone” d'avvicinamento alla
Camargue e Marsiglia, essendo
tutta pianura. Ho così
deciso di tagliare dal percorso Montpellier e di soffermarmi solo
brevemente al Parc Naturel de la Narbonnaise e con destinazione
finale per la notte il
grazioso paese sul mare di Saintes-Maries-de-la-Mer. Pianificavo da
tempo di passare per Arles, avrei voluto vedere dove il Vincent di
Zundert operò, dove visse per alcuni anni. Avrei voluto vedere coi
miei occhi quel che lui vide coi suoi. Purtroppo, la deviazione a
nord per Arles mi sarebbe costata più di mezza giornata. Sebbene io
sia un cicloturista e non un ultra-ciclista (non ancora, almeno),
scelsi di affrontare questa sfida non solo col mio corpo e la mia
mente ma anche contro le lancette di un orologio che inesorabile
sfoglia le ore del giorno con estrema semplicità.
Ancora
una volta dovetti fare i conti con un clima ben più mite – +2°C
la mattina e +10°C di giorno – ma umido e molto variabile. Un
tappeto di nuvole con saltuari schiarimenti mi accompagnò per tutto
il giorno.
Costeggiare
il mare, vedere per la prima volta nella mia vita, in condizioni di
libertà, i fenicotteri rosa nei dintorni di Gruissan e
dell'Etang de Thau, sotto la
cittadina di Narbonne, è valso tutto il viaggio. Da anni aspettavo
questo momento, e fu ancora più inaspettato perché ero a conoscenza
della presenza di fenicotteri rosa a la Camargue ma non mi sarei mai
immaginato che anche qui vi fossero esemplari. Mi fermai così ad
ammirarli, in un silenzio interrotto solo dagli sporadici treni
sbuffanti alle mie spalle. E così, con la testa annebbiata da questo
bel ricordo, macinai km passando per Frontignan e Palavas-les-Flots
dove ci misi del buon tempo per capire dove passasse la stradina,
vedendomi circondato dal mare peggio che quella notte alla Punta
della Dogana, che il mio caro amico Alba sicuramente ricorderà. Mi fermai
a mangiare piuttosto tardi nell'unico posto aperto che trovai. Qui,
mi unii al tavolo dei proprietari che si erano appena cucinati una
pasta per loro, per i camerieri e la pizzaiola. Un appunto sulla
pizzaiola è dovere: una ragazza francese originaria del Guadalupe,
che ama l'Italia e la pizza e che è finita in un posto sperduto a
fare la pizzaiola. Terminata la pasta, dopo aver cercato di
raccontare del mio viaggio in un francese vagamente maccheronico, la
fame continuava ad attanagliare il mio stomaco. Così mi resi utile
alla società e lasciai che la pizzaiola, orgogliosa e con un sorriso
sornione, mi facesse una pizza vegetariana (accolsero questa mia
notizia quasi come una malattia) e che decidesse lei gli ingredienti.
Apprezzai lo sforzo, trangugiai la pizza in 5 minuti ma solo dopo
averla annegata nell'olio piccante.
Feci
rifornimento di viveri in un piccolo discount presso Aigues-Mortes
perché nella Camargue, il giorno successivo, non avrei avuto la
possibilità di ottenere del cibo se non andandolo a rubare agli
animali allo stato brado.
Giorno
7
Mi svegliai molto presto, per due motivazioni: vedere l'alba sul
mare e per avere più tempo per godere della Camargue ed arrivare a
Marsiglia al calar del sole, dove Eloi mi aspettava per la notte.
Il sole, che forza. Il mare, quanti ricordi. |
Un'alba
come quella che ho visto a Saintes-Maries-de-la-Mer, con colori e
luce invernali, non mi è mai capitato se non in Australia. Capì, in
quei fantastici istanti, che il sole scalpita per nascere. E quando
lo fa, capita che esploda in un giubilo di colori. A volte anche i
più grandi scrittori rimangono senza parole: quel giorno fu il
turno. Mi reputai fortunato per aver assistito a quella meraviglia.
Mi ritenni ricompensato, quasi arrivando alla presunzione di pensare
“Bene, dopo tutta la fatica che sto facendo, la natura mi ringrazia
a suo modo!”. Poi smisi di pensare ed imboccai la strada principali
delle Bocche del Rodano, prima di incrociare la stradina D85A che
costeggia l'Etang de Monro
e circumbiciclettando l'Etang
de Vaccarés. Ed è qui che
persi la testa per il panorama di cui io stesso entrai a far parte. Divenni
anche io attore, anzi comparsa, di quell'inconscio ed inconsapevole
spettacolo che apre il sipario tutti i giorni per tutto il giorno.
Vidi il conosciuto cavallo bianco della Camargue brucare erba nelle
pozze. Vidi un gruppo di fenicotteri rosa, sebbene in lontananza,
nell'intento di procurarsi il cibo. E poi vidi qualche altro cavallo.
Il cielo quel giorno mi graziava a tratti. Donava al panorama una
fioca luce rossastra, che attribuì alla Camargue l'appallativo di
“Etterno Autunno”.
Qui
imboccai una stradina che passò nel mezzo di due Etang. Forse la
carrareccia più suggestiva mai attraversata, grazie anche e
soprattutto ai colori di cui parlo poco sopra. Ebbene, sorrisi e
continuai a farlo. Pensai che sono fortunato ad essere vivo ed a
poter godere di tanta bellezza. Pensai che è nostro dovere
proteggere la natura. Pensai a Lost Highways
di Lynch.
Lost Highways by Andrea in Camargue |
Mi
fermai a mangiare in riva al Rodano, ancora scosso da cotanta
bellezza, e poi mi resi conto che dove pensavo ci fosse un ponte, tal
ponte non c'era. Aprì le mappe e mi ritrovai senza capire come
attraversare il Rodano. Chiesi ad un passante, forse un lavoratore
agricolo della zona – ricordiamoci che non siamo in città ma in
una riserva quasi disabitata ed isolata e che incontrare umani non è
dunque cosa semplice –, come potessi attraversare il fiume senza
dover costruire una zattera, e lui mi disse “Oui oui . . . ah ah . .
. Voyage . . . Bac de Barcarin Rodano oui”. Poi mi indicò il sud e
vidi un imbarcadero attraversare il fiume da una sponda all'altra.
“Aaaaah!” pensai, e mi diressi al Bac de Barcarin. Sebbene fosse abituato, il capitano dell'imbarcadero, a caricare auto e motorini, quel giorno caricò me e Pynta. Passai quei 4 minuti lasciandomi sferzare i capelli dal vento proveniente da nord, e mi sentii un poco come Di Caprio in Titanic.
Passai
sulla sponda orientale del fiume e mi diressi verso Marsiglia. Il
tempo peggiorò, ed appena
superata Martigues, una pioggerella londinese cominciò a tenermi
compagnia. “Marsiglia. Leggevo che a Marsiglia ci sono più di 300
giorni l'anno di sole. Noto con piacere d'esserci capitato in uno dei
restanti 65!”. Insomma, la pioggia non mi preoccupava, ma io volevo
vedere Marsiglia con luce in modo da poter fotografare il Chateau
d'If, teatro di una delle più belle tragedie della letteratura: Il
Conte di Montecristo.
Marsiglia. Mi ricorda molto Genova. POV dall'alto, piazzale della Gare centrale |
Eloi,
un 28enne francese che parla italiano, spagnolo e portoghese oltre
che la sua lingua madre, mi racconta in italiano della sua avventura
ne sud delle Americhe con una bicicletta dal peso esorbitante (85kg).
La cosa che mi ha sorpreso, parlando con lui, è la semplicità del
viaggiare seconda la sua filosofia: oggi noi parliamo di vestiario
tecnico, di componentistica top di gamma (di sicuro non è il mio
caso, e chi se lo può permettere?) per affrontare dei lunghi viaggi
quando lui ha fatto circa 10.000km con una bicicletta da poche
centinaia di euro e con il pacco pignoni con la protezione in
plastica di inizio anni '90 e con gli ammortizzatori scarichi e quasi
ossidati. “Siamo noi stessi a limitarci. Il viaggiare non è tanto
il percorrere km e vedere posti nuovi, esotici. No, no. Viaggiare è
avere occhi nuovi. Viaggiare
è consapevolezza e lotta” pensai tra me e me, poco prima di
coricarmi e cadere in un sonno profondo.
Provenza, Costa
azzurra e Liguria: entusiasmi creativi
Giorno
8
Dopo la grande tappa del giorno precedente, così carica di
emozioni (voi gente moderna e la storia delle good vibes
. . andate a lavare i panni valà, che è meglio!) mi fece prendere
di buon umore una deviazione che mi impedì di passare per il Parc
national des Calanques e tutto il tratto di costa tra Marsiglia e
Saint-Tropez.
Da
Marsiglia imboccai una strada secondaria in direzione Aubagne e da
lì, per evitare di passare per una strada trafficata, la D560,
decisi di prendere una stradina di campagna in direzione Brignoles e
passando per Mazaugues. Marsiglia si trova in una conca ed è
circondata da colline. Eloi me lo aveva detto la sera prima “Uscire
da Marsiglia senza conoscere la strada giusta, può voler significare
tanto dislivello aspro ed infimo”. Difatti mi ritrovai a dover rampicare
assieme a Pynta una collina infinita. Poi, alla prima deviazione
verso Brignoles, svoltai con convinzione e con la lingua di fuori.
Oggi, causa crisi di fame e mandorle giunte alle ultime unità, il
pranzo venne consumato ad orari svizzero-nordici. Ripresi il cammino
per Le Luc. Eloi mi aveva parlato del Plaine de Maures. “Per
certi versi, pare di stare in Africa. Vedrai che alberi”
mi disse. Giunto a Le Luc, mi abbassai un poco per scorgere tali
alberi senza inoltrami nella selva ma non mi riuscì: dovevo andare
nel mezzo del Plaine, per poterli vedere. Mi persi per strada e
decisi di deviare per Sainte-Maxime, ubicato sulla sponda nord del
Golfo di Saint-Tropez.
La Costa azzurrossastra |
Da li seguì tutta la litoranea fino a Frejus,
dove mi fermai ad imbucare delle cartoline e poi a Saint-Raphael,
frazione di Frejus, dove Marie-Anne mi aspettava per ospitarmi.
Marie-Anne è un'insegnante delle elementari, anche a lei piace molto
viaggiare ed ha un gatto amorevole di nome Gedeòne, una birba
bianco-arancione che voleva a tutti i costi intrufolarsi nella stanza
a me riservata. Non ce la fece, le dimostrai il mio affetto mentre
oziava sul pianoforte di Marie-Anne.
Iniziai,
non so per quale motivo, a sentirti in dirittura d'arrivo.
Giorno
9
Il giorno 9 lo ricordo con piacere come il giorno di Guyle, del
quale parlerò a breve. Temperatura rigida per essere in Cote
d'Azur (mi vogliano scusare gli
amici francesi, ma non ho i
caratteri speciali e la mia pigrizia grammaticale mi impedisce
di andarli a cercare) al mattino presto con circa +2°C,
presto arrivò il momento di rimanere in felpa, sebbene il vento
fosse insidioso. Rimasi impressionato dalla bellezza di quel tratto
di costa, che definirei più Cote Rouge che d'Azur, grazie
alle rocce di color rosso porpora che caratterizzano questa porzione costiera.
Rocce rosse, vegetazione e mare. I calanchi sulla destra, in picciolo. |
Il
clima mite permette ai giardini ed alla natura di essere piuttosto
rigogliosi, con fioriture violacee e gialle. Ammirai i numerosissimo
calanchi, come quello di Saint-Berthélemy,
ed iniziai ad assaporare gli infiniti su e giù che saranno il tratto
distintivo della strada fino a Genova. Vidi
in lontananza le Alpi innevate, le Alpi Marittime. Mi sentii a casa.
Sembrava strano ed inverosimile, ma la sera sarei poi arrivato oltre
quel confine visivo che stavo in quel momento mirando.
Ah
si, certo, non vi ho più detto che decisi di passare per la costa e
non per il Passo di Monginevro. I -16°C previsti e la missione di
far la sorpresa a Federica ed Agnese, con la complicità del socio in
affari Luciano detto Lucio, mi permisero di essere intransigente e fermo nel momento della scelta.
Pynta, grande condottiera, si riscalda al meritato sole. |
Le Alpi Marittime sopra Nizza ed il confine italiano |
Arrivai
in prossimità di Cannes, quando mi sentii battere sulla spalla. Mi
voltai e vidi un signore intento a parlarmi in francese. Capii e
chiesi se fosse possibile parlar in inglese, o spagnolo o italiano
così sarei riuscito ad esprimermi meglio. Cominciammo a parlare un
poco in francese, alcune parole in italiano e la maggioranza dei
periodi in inglese. Parlammo affiancati, pedalando, per qualche km
quando mi chiese di mangiare con lui. Era presto per pranzare, ma
acconsentii felice e mangiammo assieme. Guyle ha 84 anni ed è un
nonno da 8000km in bicicletta all'anno. Presidente di una squadra
ciclistica amatoriale e di un club di amanti delle due ruote non
motorizzate. Mi racconta della sua vita e mi chiede con estremo
interesse del mio viaggio, del perché e dello spirito con cui lo
affronto. Poi mi invita a parlare al suo club di Cannes per la primavera 2018. Ci scambiammo le nostre e-mail. Un'ora intensa che fa perdere la cognizione del tempo e del
lungo percorso che avevo ancora davanti a me quel giorno. Mi svegliai
infatti con l'intenzione di arrivare sino a Imperia, dove Cristiano
s'aspettava di vedermi comparire entro sera.
Andrea e il mare. |
Andrea e Guyle |
Giunti
ai saluti, partii come un razzo verso Nizza. Decisi di effettuare una
breve deviazione percorrendo l'intero Cape d'Antibes. Un vero
gioiellino di tranquillità e mare. Anche Antibes, il paese dentro le
mura ed il porto vecchio meritano una sosta.
Cap d'Antibes, Golfe de Napoule in lontananza |
Gabbiani intenti a pigliare il sole |
Prima
del pranzo, quello ad orari cristiani, arrivai a Nizza. Un giro
veloce per il centro storico e poi via sul lungomare. Sul lungomare
mi vennero i brividi a pensare all'attentato terroristico del 2016.
Un camion che corre a zig zag, falciando persone. Decisi di passare
oltre e di dirigermi verso il Principato di Monaco, che però non
visitai. Si, perché se è vero che tutte le strade portano a Roma,
in Costa Azzurra posso tranquillamente affermare che nessuna strada
porta a Monacò.
Lungomare di Nizza. Sulla ciclabile dell'Eurovelo 8. |
Il dislivello accumulato oggi è forse il più
consistente dall'inizio del viaggio. Comincio ad essere stanco,
sebbene la strada sia ancora lunga.
Mi
fermo per un caffè a Mentone, mi sistemo felpa, caschetto e
pantaloncini come se stessi andando ad una cena di gala. Volevo
essere pronto per riabbracciare la mia Italia. Al confine ero
emozionato. Se a Frejus mi sentivo in dirittura d'arrivo, al confine
mi sentii a casa con un té caldo in mano. Chiesi ai militari di fare
una fotografia col cartello. “Non c'è problema, basta che i
francesi pure ti dicano di si”, mi disse un militare. I poliziotti
francesi mi dissero che non era permesso fare fotografie. Io li
ascoltai, e scattai un paio di fotografie con Pynta nelle vesti di
mia personale fotomodella.
Mentone, quasi Italia |
Pynta, fotomodella ed il cartello ItaliE! |
A
Mortola Inferiore, ero già stufo d'essere in Italia. Sull'Aurelia le
auto cominciarono a passarmi molto vicine, altre addirittura a suonar
il clacson. Passai Bordighera
e pensai a Claude Monet ed alle opere che creò durante il suo
soggiorno tra Bordighera e Antibes. A mio modo, mi sentii anche io un
artista. A volta con le parole, altre con la bicicletta. Spesso non
capito. L'arte ha miliardi di sfaccettature ed io ho scelto le mie.
Come dar torto a Monet? |
Giunto a Sanremo a metà pomeriggio, imboccai la nuova e famosa pista
ciclabile dove qualche anno addietro partì il Giro d'Italia e la
percorsi tutta. Ci tengo ivi a sottolineare come la Liguria abbia un
enorme potenziale in termini di piste ciclabili. Difatti, la vecchia
ferrovia che corre parallela e accanto al mare è stata smantellata.
In alcuni tratti, come quello tra San Remo e Santo Stefano al Mare
sono completi. Altri invece sono lontani dall'essere cominciati.
Carissimi comuni: tirati fuori il grano dalle tasche e, una volta
tanto, costruite delle infrastrutture che abbiano un progetto ed un
ritorno a lungo termine. Comuni italiani tutti: adoperatevi, è pieno
di persone professionali ed in grado di dare vita a progetti per una
viabilità più sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale e
della salute. Multinazionali e lobby del petrolio e degli idrocarburi
cari: avete gli anni contati anche in una paese lento al cambiamento come l'Italia!
A
casa di Cristiano ci arrivai quasi per sbaglio. Mi aspettò sulla
soglia di casa sua e, fatte le presentazioni del caso, iniziammo a
parlare di bicicletta. Mi chiese del viaggio, scambiammo
due parole e poi lui di dileguò per continuare la sua giornata da
lavoratore e padre a tempo pieno.
La
sera, dopo aver mangiato una pizza che da tempo bramavo, ricevetti
una telefonata da casa. Era tempo di tornare prematuramente, per
un'emergenza personale. Decisi che il giorno seguente sarei arrivato
a Savona in bicicletta, avrei portato a termine il mio obiettivo
della sorpresa ad Agnese e Federica , avrei salutato Lucio, Marina,
Alessandro e poi mi sarei imbarcato assieme a Pynta su un treno per Brescia.
Non
ho provato la benché minima frustrazione o delusione all'idea di un
viaggio concluso prima del previsto.
Tramonto sul mare, pace dell'anima. |
Giorno
10
Jonathan in viaggio con me |
Sveglia all'alba. Cristiano, ciclista appassionato, la sera prima
si offrì di accompagnarmi fino ad Albenga e così fu. Partimmo
assieme, lui stradista ed io coi borsoni carichi, ho fatto fatica a
tenere la sua media iniziale. Poi deve avermi visto arrancare sul
Capo Mimosa e diminuì l'andatura. Parlammo di ciclismo
professionistico, di politiche urbane volte a migliorare le
infrastrutture esistenti, della corruzione e dei giochetti politici.
Attraversammo Alassio per il centro storico e poi dritti ad Albenga.
Lo ringraziai
per essere stato un'ottima guida. Albenga è chiamata la San
Giminiano ligure, grazie alle sue tante torri che imperano
sull'orizzonte cittadino.
Ad
Albenga ci salutammo,
dopo un caffè, e ripresi
la mia corsa solitaria con la promessa di rivederci la prossima volta
che decida di ritornare verso Imperia.
Dopo
Pietra Ligure e Borgio Varezzi, l'Aurelia diviene una meraviglia.
Finale Ligure, Varigotti e Capo Noli sono dei gioielli. Mi fermai
spesso ad ammirare il turchese del mare, che in inverno, forse per la
sua solitudine, è ancora più
vivido. Il mare, quanti ricordi . . .
Il mare . . quanti ricordi (cit.) |
Pynta contrasta col turchese di Capo Noli |
Una meraviglia questo tratto di Aurelia |
Arrivato
a Bergeggi all'altezza di Gianbirraska, classica sosta della temibile
coppia Andrea-Lucio, ultimamente aperta anche a Federica ed Agnese,
incappai in una leggera crisi di forze. Il mio corpo si sentì forse
rilassato per la vicinanza della meta. Insomma, quei 50 metri di
dislivello sembrarono 500 e la velocità quella di un bradipo dopo 3
giorni di insonnia.
Vado
Ligure, obbrobrio, ed arrivo sul lungomare di Savona dove una folla
scalpitante composta da Lucio e la sua auto mi diedero il benvenuto.
Andammo
dove lavora Federica e le feci una sorpresa. L'espressione di gioia e
lacrime, assieme all'abbraccio che mi diede, sono forse il più bel
ricordo del viaggio. Poi vidi
Agnese, Marina ed Alessandro. Era
finita, ma non me ne resi conto.
Conclusioni e
ringraziamenti di una piccola esperienza personale, che considero una
goccia nell'oceano della vita
Si
viaggia, spesso, anche per riscoprire il piacere di tornare a casa.
Io ho viaggiato anche per
questo, oltre che per una miriade di altre motivazioni. Perché sono
zingaro: una forza innata che mi porta a non riuscire a fermarmi in
un posto. Perché scappo. Scappo da qualcosa o qualcuno. Perché viaggiando in bicicletta ho dimostrato a me stesso
ed agli altri che le due ruote sono il trasporto del futuro:
sostenibile, a basso costo e salutare. Perché resistendo alle
intemperie e superando le difficoltà, ho dimostrato a me stesso ed a chi mi
è vicino che la forza d'animo e la volontà ci possono far
raggiungere traguardi che non avremmo mai pensato. Perché ho voluto
dare un'altra possibilità all'essere umano, ho cercato di recuperare
la fiducia in un animale, la mia specie, per il quale di fiducia non
ne avevo più. Perché mi è sempre piaciuto esplorare e conoscere il
mondo, la natura e le differenti tradizioni dei popoli. Perché ho sempre
cercato di essere diverso e sono sempre stato uguale a tutti, fino a
quando ho iniziato ad essere me stesso ed ho imparato a fregarmene
del fatto di essere uguale o diverso. E quindi una persona sarebbe tornata in aereo, mentre io in bicicletta. Perché ho voluto dimostrarmi
che il viaggio sta' davvero nel vedere le stesse cose con occhi
diversi: ovvero, il viaggio è dentro di noi. Nessuna montagna,
nessuna onda e nessun albero ci indicheranno mai la via da
percorrere. Siamo noi stessi, il nostro viaggio.
Andrea
P.S. non sono i titoli di coda di un'avventura, ma il prequel di quel che verrà . .
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