Il Cornone del Blumone ha lasciato i suoi segni su di me,
come un coyote che abbia egoisticamente marcato il territorio e lo voglia
preservare da visite altrui.
La carne viva e pulsante poco sotto il tendine d’Achille,
risultato di una vescica che da una settimana è divenuta la 21esima regione
italiana, assieme ad un affaticamento delle gambe senza precedenti hanno
vagliato l’ipotesi più che realistica che la gita alle Bocchette Alte sarebbe
stato un suicidio. O perlomeno, un tripudio di sadismo fine a sé stesso.
Tuttavia, quando si tratta di andare a trovare Gaia, Andrea non se la sente mai
di cedere al dolore né a niente altro. Non allo spazio e non al tempo. Andrea
non se la sentirebbe di non avere forze e testa là dove l’amore sbocciò anni
addietro. Giunto a destinazione, dove le porte della casa del mio maestro ed
amico alpinista Alba mi aspettavano aperte e calorosamente accoglienti, ecco
che ho un doppio colpo di fortuna. Nel sacchetto che la gente normale chiama beauty-case e che io chiamo “Sacchettino da viaggio dove ci metto le cose come
spazzolino, dentifricio e medicine”, trovo un cerotto da vesciche extra-large.
Che fortuna, proprio quello che mi ci voleva. In aggiunta, il maestro mi parla
di un unguento cicatrizzante e risolutivo per tagli, fresature della pelle,
escoriazioni di ogni genere insomma, che lui stesso ha ricavato dalla sua arnia
e che ha fatto con le sue mani. Mi applico l’unguento prima di cena ed in capo ad
una mezz’ora già smette di pulsare. Per cena: zuppa povera di orzo fatta in
casa con orzo coltivato nell’orto che si vede mentre s’è seduti a tavola. Due
piatti pieni per me, in modo da essere sicuro di avere abbastanza energie la
mattina.
Sveglia piazzata alle 3:30, alle 3:15 io ed il Maestro ci
aggiriamo già per casa in preda ad esaltazioni da liceali quando arriva
l’ultimo giorno di skuola. Quest’anno infatti, per festeggiare la ricorrenza di
un amore sbocciato in maniera inaspettata, io ed il Maestro pensiamo di
aggiungere le Bocchette Centrali a quelle alte. Un poco utopistico come progetto,
data la nostra condizione fisica da pensionati prematuri. Gioventù bruciata. La
risolviamo così, convenendo ad un comune accordo: “Vediamo dopo come siamo
messi!”.
Mi riapplico una ditata abbondante di cera di propoli e pure
il cerotto salva-gita. Decido di partire con le scarpe da trail running invece
che con i vecchi scarponi ramponabili, che nel caso di ghiaccio o situazioni
perigliose avrei tirato fuori dallo zaino ed avrei indossato. Come dei veri
svizzeri alle ore 04:30, in un buio notturno che ormai iniziava a profumare di
giorno, attacchiamo il sentiero di avvicinamento che ci condurrà al Tuckett e
da lì alla bocca del Tuckett. Come dei veri sfulmini, alle ore 06:00 cantiamo
il chicchiricchì del buon risveglio
agli ospiti del rifugio che, data l’ora, non vede ancora anima viva nei
dintorni.
Brentalalba, ormai finito l'avvicinamento |
Rifugio Tuckett, e prime luci sulle vette |
Alle nostre spalle, sornione, svetta il gruppo montuoso di
mio fratello l’Adamello con in prima linea la Presanella, assieme alla sua
vedretta, ed il Carè Alto.
Mio fratello l'Adamello, Presanella e Carè Alto |
Le chiacchere da vecchie zitelle dell’avvicinamento mi fanno
dimenticare il dolore alle gambe, che però purtroppo inizia a manifestarsi
sulle rampe detritiche a metà tra il rifugio e la bocca del Tuckett. Giunti su
un pianoro massoso, e poco prima che inizi la calata alla bocca, ci fermiamo
per imbragarci, bere e mangiare una leccornia firmata Formis: pane all’uvetta.
La calata per le scalette ed i gradoni sedimentari di pietra dolomia avviene
gravosa, dovuta alla spossatezza che ha preso il controllo del mio corpo.
Inizio a tacere ed a stringere i denti mentre il maestro prende qualche decina
di metri di vantaggio e conoscendomi, mi lascia andare per la mia strada ed al
mio passo. Pochi minuti dopo le 07 siamo all’attacco delle Bocchette Alte.
Il maestro è già all'attacco, io maschero la stanchezza scattando fotografie |
Ecco che la roccia torna a salire, e tra alcuni canaletti ed
altri gradoni, recuperando lemme lemme le forze evaporate poco prima,
percorriamo il versante est di Cima Brenta, vera e propria cengia e scolliniamo
al cospetto di Cima Vallesinella.
Maestose cime del Brenta, rimasugli di bianco inverno |
ACHTUNG! |
Come arrivare veloce ed a mo' di puzzle a valle |
Ci si diletta qualche istante ad immaginare cosa
succederebbe se precipitassimo dalle strapiombanti pareti su cui stiamo
appollaiati. “Un bagno nel sottostante lago di Molveno” ci diciamo ridendo.
Tentativo di volo numero 1 |
Molvenosee, tra strapiombi e formazioni cumuliformi longilinee |
Tentativo di volo 2: anche io ci provo, a mio modo |
Non c’è ancora traccia di altri esseri umani. “E’ davvero
presto!” pensiamo tra noi e noi. Ci piace evitare la folla in montagna, ecco
perché.
Passata la famosa scala dei 30 metri e la ventosa, sottile
Bocchetta alta dei Massodi, e lasciata Cima Brenta alla nostra destra, iniziamo
la discesa verso la valle dove si trova il Rifugio Alimonta.
La scaletta di Giacomino e del fagiolo magico |
Stabilità ed equilibrio |
The Beatle(s) alla bocca de' Massodi |
Sono le ore 10:00 ed abbiamo concluso le bocchette Alte.
Nessuna gara con noi stessi, nessuna smania di sembrare fenomeni. Semplicemente
il sangue in circolo e l’emozione di respirare il vento che spira tra le cime
dolomitiche, ammirare l’arte stratificata e le forme squadrate ma dolci dei
pinnacoli, udire il suono del nulla e dell’acqua che scorre imprescindibile
dalla volontà dell’uomo. Il maestro non dà segni di cedimento – potrebbe mai
darne? – ed io ho riacquistato le forze. Quale decisione più ovvia che dare
adito alle nostre ambizioni iniziali?
Fenicottero rosa d'alta quota |
Dopo esserci rifocillati con pizza, pane e cioccolato ed una
barretta energetica svizzera pastosa al punto da aderire alle pareti
dell’esofago e da diminuirne la portata di eventuali flussi fluidodinamici
futuri, ci fiondiamo in discesa in direzione attacco delle bocchette centrali.
Decidiamo, più o meno volontariamente, di abbandonare la traccia che porta a
valle e tagliare per la costa in modo da tagliare ed impiegarci meno. Scelta
azzardata, in quanto ci ritroviamo ad attraversare orizzontalmente una costa
infinitamente detritica e con la sorpresa del Permafrost sotto i nostri piedi.
Dopo aver appoggiato più di una volta il culo a terra ed essersi grattugiati il
ginocchio, attacchiamo il canale ghiacciato che ci porta alla Bocca degli Armi.
Orsi delle nevi, diressiòn Bocca degli Armi ed attacco bocchette centrali |
Alle 11:00 iniziamo questa parte del Brenta a me
inedita.
Gaia continua a sorprendermi metro dopo metro, vista dopo
vista. Per fortuna che sono nato e che sono qui. Per fortuna che ho occhi per
vedere, orecchie per udire, cuore per assaporare la meraviglia che Gaia è.
Cenge da fare a carponi, su e giù dove è possibile fermarsi
in sicurezza a contemplare l’unicità di queste montagne amiche, due pazzi
germanofoni con drone e monociclo dalla ruota grassa che si presta ad acrobazie
NON in sicurezza a 3000m di altezza, segnavia persi e ritrovati.
Germanici sotto effetto di LSD |
Il maestro, in totale sicurezza, si accinge (?) sulla larga cengia |
E poco prima di una curva dall’aspetta innocuo, il maestro
si ferma con aria teatralmente crucciata e mi dice “è qui dietro, sei pronto?”.
La pelle mi si fa d’oca, il cuore vuole uscire dal petto e vedere anche lui e
le gambe tremano lievemente con fare timido. Attacco le mani alla roccia e
lentamente sporgo il capo al di là dell’angolo: ‘l Campanil Bass. Maestoso,
solitario, prominente, ripido, un sogno, un progetto, un fatale scontro con la
realtà che mi lascia però incolume, un’ambizione senza collocazione
spaziotemporale, spasmo muscolare, concentrazione e determinazione mentale,
tempo per realizzarlo cercasi. Campanile Basso, finalmente ti ho a tiro. Ti
rispetto, penso assorto in me stesso, ma ti dovrò conquistare.
Eccola, sua Majestà 'l Campanil Basss |
Da qui segue la discesa, e le nostre gambe non si accorgono
più della fatica. Siamo troppo occupati a fantasticare, a fare calcoli
altimetrici, a cercare la via da percorrere, ad ammirare gli scalatori che la
stanno percorrendo con il binocolo, a fare i conti con la realtà, a programmare
il percorso che porterà me ed il maestro là dove or ora vorremmo già essere.
Ci credo che sia patrimonio dellu Nesco |
Ci ritroviamo ad un bivio: a sinistra si risale un'altra
gola innevata, a destra si discende dolcemente verso il Rifugio Brentei. A
sinistra, una volta raggiunto il Rifugio Pedrotti, inizia la ferrata che
corrisponde ad un periplo della Cima Tosa della durata di altre 3 ore – secondo
i nostri calcoli spannometrici –. Il tempo è buono seppur in peggioramento,
sono le 12:30 e quindi è presto e di tempo ne avremmo: “Perché no?” pensiamo.
“Perché no!” ci rispondiamo di comune accordo.
Con estrema soddisfazione e col cuore ancora in subbuglio,
scendiamo prima al Brentei e poi al Casinei, per quella che io chiamo “una
valle di lacrime”.
A valle, al riparto dal caldo e dal sole, immergiamo le
gambe in un torrente dalle fresche e chiare acque. Con la pratica “Bocchette
Alte + Centrali” in fase di chiusura, ma non ancora chiusa, e di felice
archiviazione nella libreria personale di Andrea, si inizia a pensare alle
prossime.
Dove tutto ebbe inizio.
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